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La Sicilia e la sfida del passaggio allo sviluppo vero

Siamo alle battute finali per il decreto sul federalismo demaniale, il primo tassello della riforma federalista. Dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta venerdì prossimo, in linea con la road map della legge delega che prevedeva il via libera del Consiglio dei Ministri entro il 21 maggio. Il percorso tormentato del primo decreto, quello sul federalismo demaniale, sulla carta il più semplice, la dice lunga sulla reale complessità dei temi (e degli interessi) in gioco. Grazie all'ormai prossimo decreto attuativo sul federalismo demaniale, lo Stato trasferisce a Regioni, Comuni e Provincie beni del demanio marittimo, idrico, militare dismesso, miniere, aeroporti regionali, terreni ed immobili statali. Gli Enti destinatari dovranno "valorizzare" questi beni e quindi metterli a profitto. Il passaggio dei beni a Regioni, Provincie e Comuni avrà luogo senza costi, ma lo Stato contestualmente ridurrà i trasferimenti in misura pari alla rendita cui deve rinunciare. Per fortuna degli Enti destinatari, lo Stato non brilla per efficienza e quindi in definitiva, a fronte di alcuni miliardi di euro di valore dei beni, il taglio dei trasferimenti per tutta Italia sarà inferiore ai 200 milioni di euro. Più dura sarà "domani", quando bisognerà mettere mano (entro il termine ultimo del maggio 2011) alle altre misure. Si stima che il secondo decreto - che taglierà definitivamente i trasferimenti dello Stato e li sostituirà con l'attribuzione del gettito di alcune imposte a Regioni ed Enti Locali - sarà pronto dopo l'estate. Resta infine il terzo decreto, quello considerato cruciale, che determinerà il passaggio dalla spesa storica ai costi standard. Per semplificare, alcune funzioni come la sanità e l'istruzione saranno trasferite agli Enti Locali; tale trasferimento non avverrà più con il criterio storico (fino ad ora hai speso tot e tot continuo a trasferirti) ma con un costo standard: muovo dalla spesa per la singola funzione nelle regioni più virtuose, e tanto assegno a tutte le altre Regioni. Per alcune potrebbe essere un vantaggio, per altre potrebbe essere un massacro. Nelle more che si definisca meglio il quadro, va considerato quanto questo Giornale ha già anticipato. La Sicilia riceve, secondo la Banca d'Italia, circa 15 miliardi di euro all'anno, sotto forma di trasferimenti. Nessuno può al momento fare ipotesi, ma resta una perplessità. Se la Sicilia dovesse "conservare" il 90% delle somme che riceve e "perderne" appena il 10%, con il nostro sistema di costi e con un bilancio annichilito dalle cosiddette integrazioni al reddito (leggasi precariato) sarebbero dolori. E che dolori. Una classe dirigente avveduta ed il passaggio epocale dalla politica assistenziale allo sviluppo vero, sono le uniche alternative praticabili, rispetto al fallimento del mezzogiorno e della Sicilia. Riusciremo in questo compito immane?

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