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Il tempo dei sacrifici

Rigore, tagli, conti in ordine. L'Europa cerca di stendere una rete di protezione intorno all'euro, che è il simbolo finora più significativo della sua unione. L'Italia, dal fondo dell'abisso del suo debito pubblico - pur essendo stata negli ultimi tempi più virtuosa dei suoi partner - riflette sugli stessi problemi e il governo ipotizza una manovra di 25 miliardi di euro basata su tagli della spesa pubblica, sacrifici e lotta vera all'evasione fiscale. L'esecutivo guidato da Silvio Berlusconi non vuole azionare la leva fiscale, aumentando una pressione tributaria che già è pesante. Giulio Tremonti, forte anche del prestigio e dei riconoscimenti internazionali, ha ideato una manovra abile e apparentemente indolore, ma all'idea dei sacrifici dobbiamo rassegnarci. "Due popoli, una faccia", così i greci rappresentano il rapporto con l'Italia, ma noi non possiamo e non dobbiamo seguire la strada percorsa da Atene nei meandri di dati contabili sospetti e manipolati. Il primo taglio ipotizzato è quello degli emolumenti dei parlamentari. Il provvedimento ventilato è stato definito da qualcuno come inconcludente o irrilevante, ma è il valore simbolico che importa. Sarebbe la "casta" ad aprire la strada dei sacrifici in un Paese in cui tutti, quando si parla di tagli e di risparmi rispondono: "Sono giusti, ma cominciate dal mio vicino". Quel vicino siamo noi, tutti. La riduzione dei compensi ai politici è la premessa morale e umorale alle necessità di un popolo che stenta a ritrovare le virtù dispiegate nel dopoguerra. Dopo i politici vengono i manager pubblici. Hanno stipendi che spesso non sono direttamente proporzionali ai servizi forniti ai cittadini. Lo stesso vale per i dirigenti della pubblica amministrazione che godono di trattamenti superiori all'utilità socialmente rilevata. Si tagli, si tagli e nessuno avrà da piangere. Ma siamo certi che soltanto infierendo sul pubblico si possa riconquistare la perduta virtuosità finanziaria dell'Italia?
La rotta giusta è quella di salvaguardare i ceti più deboli, che hanno già sacrificato molto sull'altare della crisi globale, ma nel contempo reperire le risorse necessarie alla salute delle pubbliche finanze toccando i privati, i supermanager delle grandi società, i consulenti strapagati. Le aziende vanno salvaguardate e difese da una pressione fiscale che ne mina la competitività, ma gli stipendi dei manager non sono intoccabili. L'esempio della Grecia ha un valore politico e didattico da non sottovalutare. O accettiamo l'idea dei sacrifici, o finiremo col trovarci di fronte a decreti odiosi che aboliranno le tredicesime, taglieranno le pensioni e renderanno inerte lo stato sociale. Va anche considerato che la stabilità delle finanze pubbliche è una condizione, la prima, della sopravvivenza dell'Europa. Se salta l'euro, salta l'Unione europea e torniamo indietro di 60 anni, dissipando un patrimonio di stabilità e di pace. In questa situazione, tocca alla classe politica nel suo complesso di spiegare al Paese quali opzioni ha davanti. Non conta più, in simili circostanze, il rapporto dialettico, anche aspro, fra maggioranza e opposizione. Conta l'interesse generale, la comprensione, da parte dei cittadini, della realtà italiana. I nostri connazionali, grazie a una vitalità straordinaria, hanno sempre reagito alle avversità con tenacia ed energia. Lo faranno anche di fronte alla crisi globale e ai rischi del dissesto finanziario. Sempre che i politici li aiutino a capire.

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