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Mourinho, l'antipatico che vince

L’AntipaticOne ha vinto. E meritatamente. Se è la tassa da pagare - l'antipatia naturale di Don Josè - per goderne i pregi, le qualità professionali, paghiamola pure: il soggetto Mourinho è seriamente sospettato di voler portare l'Inter dal lungo purgatorio al Paradiso europeo, ed è bello non solo per Moratti il Generoso, per la Beneamata e il suo popolo, ma per tutto il calcio italiano che da una vittoria nerazzurra nella finale di Madrid ricaverebbe il diritto di tener le sue quattro in Zona Champions. Ma non sarà facile:il Bayern, checchè ne dicano gli schizzinosi, è il peggior avversario possibile che - come l'Inter - ha già due vittorie su tre e tenta il Grande Slam.
Ha vinto l'Inter ma una volta di più ha vinto il suo tecnico che, scegliendo di esser baluardo dei suoi, loro avvocato e insieme pungente accusatore d'ogni avversario possibile, di campo o mediatico, merita di attirarsi l'applauso finale. Proprio come Herrera, il Mago d'antan, che oggi rivive in questo giovane signore capace di inventarsi - a parole - un calcio lunare e di realizzare, nei fatti, un calcio terrestre, anzi pedestre, anzi all'italiana con un tocco di raffinata intelligenza (catenaccio offensivo l'ho detto) spesa - su suo ordine, naturalmente - da gente come Milito, Etòo, Snejider. Sicchè alla fine soddisfa paradossalmente proprio quelli che - come me - son devoti a San Catenaccio, quelli che lui, Mourinho, non ama come non ama il calcio nostrano per un semplice motivo: questo gioco, ripassato attraverso la nostra storia, cultura e fantasia, è il vero padrone dei suoi interpreti. Anche di quelli, come Mourinho, che credono di inventar qualcosa. Mourinho, Sacchi: alla fine - lo avrete letto - sono solidali nonostante siano tatticamente lontanissimi.
È bello poter dire - una volta di più - che chi ha vinto lo scudetto lo ha vinto con pieno merito: l'Inter ne era titolare designata fin dalla prima giornata, poi ha trovato la Roma cui tutti dobbiamo gratitudine per aver nobilitato un torneo nato praticamente scontato. La Roma del caparbio Ranieri che fino all'ultimo ha minacciato la squadra più forte (forse) d'Europa, dotatasi d'estate di un gruppo di sensazionali campioni come Milito, Sneijder, Lucio, Pandev e compagni, sparandole contro gli eredi di Spalletti e di un progetto quinquennale giunto forse al limite, con il solo rinforzo di un Burdisso gentilmente offerto dall'Inter. Misurandosi tecnicamente, l'Armata Nerazzurra ha per lungo tempo perduto il duello con il Battaglione Totti-De Rossi.
Ma al momento giusto, agitando le acque con la sua raffinata malizia, Mourinho ha fatto perdere la calma a Ranieri e ai giallorossi, sfidando il primo sul piano dialettico - e vincendo facile - e i secondi sul piano psicologico, blindando invece la sua Inter. Morale: la Roma ha perso con la Sampdoria la partita decisiva e lo scudetto che s'aggiunge invece ai tre (o quattro?) già conquistati dai nerazzurri con Mancini e Mou. Moratti e i suoi han goduto particolarmente per questa vittoria, colta nei giorni di una presunta bufera scatenata da Moggi e dalla Juve che - non avendo evidentemente di meglio da fare - fa la guerra al famoso «scudetto di cartone» strappatole e assegnato all'Onesta Inter. Non c'era bisogno che s'agitasse, la Juve: quello scudetto io - ad esempio - l'ho bocciato dal primo giorno e ormai tutti ne negano il valore. Per l'Inter diciamo dunque Diciotto, ma con riserva. Oppure che, avendolo vinto Mourinho il SuperbOne, vale doppio.

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