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Gli immigrati in Italia visti attraverso i libri

La letteratura sugli immigrati comincia a diventare sempre più ricca. Infatti a studiare i fenomeni migratori non sono ora solo i giornalisti e gli scrittori, ma anche sociologi, psicologi ed economisti che ogni giorno analizzano tutti gli aspetti della clandestinità e dell'integrazione di esseri umani provenienti dall'est europeo, ma anche dall'Africa, dall'America latina e dall'Asia (Iraq, Afghanistan, Cina, dalle Filippine). Indubbiamente la minoranza comunitaria più numerosa in Italia è quella proveniente della Romania: oltre un milione di persone (compresi i rom). Si tratta di una comunità che è difficilmente censibile visto che i romeni non hanno più bisogno, in quanto cittadini dell'Ue, di permessi di soggiorno. E soprattutto si tratta di una immigrazione molto variegata. Lo conferma un libro uscito in questi giorni di Alina Harja (una giovane giornalista romena) e di Guido Melis (professore di storia delle istituzioni pubbliche all'Università La Sapienza di Roma e deputato del Pd).Infatti, nel saggio Romeni - La minoranza decisiva per l'Italia di domani (Rubbettino) si fa una radiografia della comunità romena in Italia, anche per confutare quei luoghi comuni, alimentati dalla cronaca nera, attraverso documenti e interviste con giornalisti, italiani e romeni, studiosi e gli stessi immigrati. E allora si scopre che in Italia vi sono 27mila aziende romene e che non tutti gli immigrati sono colf, badanti e lavoratori dell'agricoltura, ma anche operai, tecnici, musicisti e professionisti. Vi si trovano uomini di cultura, orgogliosi della loro identità, che rivendicano una maggiore integrazione. Certo, buona parte di questi immigrati (come è avvenuto con gli albanesi) tenderanno a ritornare nel loro Paese non appena le condizioni economiche miglioreranno, ma una buona parte è decisa a rimanere per diventare italiana, senza ovviamente rinunciare alle proprie origini. Da questo libro emerge anche una critica forte ad ogni forma di razzismo e xenofobia.
Su un'altra comunità di immigrati, quella ucraina, si è fermata l'attenzione di una studiosa rigorosa, Francesca Alice Vianello (ricercatrice all'Università di Padova): Migrando sole - Legami transnazionali tra Ucraina e Italia (FrancoAngeli). Nel corso di questa ricerca sono state intervistate le donne che hanno lasciato l'Ucraina da sole, lasciando in patria i figli e spesso anche i mariti. Un fenomeno, questo, nuovo, che si è registrato in quasi tutti i paesi dell'Est dopo la dissoluzione dell'Urss e che ha coinvolto tutta l'Europa occidentale, come destinataria dei migranti. Quasi tutte le donne ucraine vengono utilizzate nel settore domestico (provengono, nella grande maggioranza, da Leopoli, Ternopil e da Ivano-Frankivsk). Un dato poco conosciuto è rappresentato dal livello di istruzione: il 37% di queste immigrate ha una laurea, il 36% un diploma professionale e il 22% un titolo di scuola media superiore. Nel libro vengono analizzati tutti gli aspetti sociali e umani dell'immigrazione, compresa l'intensità dei rapporti con la società d'origine e quelli nuovi instaurati con i Paesi di accoglienza. Una ricerca importante che fa capire moltissime cose agli addetti ai lavori. E non solo.
Ma da qualche tempo si sono moltiplicati anche i libri di denuncia che raccontano le tante storie di immigrati. Fra questi ricordiamo: Quasi uguali (Mondadori) di Francesco De Filippo. L'autore, un giornalista, ha raccolto numerose storie rigorosamente autentiche: storie di miseria, di degrado, «fantasmi invisibili nella nostra società, ai margini». Nel libro vi sono anche gli esempi positivi, di quelli cioè che sono riusciti a integrarsi a prezzo di duri sacrifici. Sulla stessa linea si colloca il recentissimo Tutti indietro (Rizzoli) di Laura Boldrini, con molte testimonianze di immigrati. L'autrice è la portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, una donna coraggiosa che abbiamo visto spesso scontrarsi con le autorità italiane per difendere i rifugiati arrivati avventurosamente via mare in Sicilia e in Calabria. La Boldrini non ama che si definiscano «clandestini» coloro che arrivano illegalmente via mare (o via terra, ai nostri confini), ma al di là della definizione, si tratta pur sempre di esseri umani che varcano le frontiere in modo irregolare, quasi sempre senza passaporti e altri documenti. Certo, la politica dei respingimenti crea difficili problemi umani (soprattutto per quanto concerne i rifugiati che fuggono da guerre e persecuzioni di regimi tirannici) ma è pur vero che si è rivelata l'unica in grado di fermare il flusso selvaggio, senza regole (che alimenta, fra l'altro, il traffico delle organizzazioni criminali internazionali). Purtroppo la politica umanitaria, a volte troppo a senso unico, scivola a volte nella demagogia, nella denuncia generica, nella strumentalizzazione politica che non tiene conto di altre responsabilità: quelle dell'Ue, dei governi dei Paesi mediterranei e delle stesse Nazioni Unite, che non sempre riescono ad affrontare organicamente - per ragioni politiche e di risorse economiche - i problemi posti dalle migrazioni internazionali.

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