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Il fenomeno delle imprese straniere

Sono sempre più numerosi gli stranieri che hanno un'impresa propria in Italia. Le imprese con titolari stranieri sono infatti quasi seicento mila e danno lavoro ad almeno due milioni di persone. Le comunità di imprenditori più numerose sono quelle marocchina, cinese e romena. Il fenomeno della presenza imprenditoriale straniera cresce persino in controtendenza rispetto al resto del sistema; basti considerare che nel 2009, mentre i nostri imprenditori hanno subito una dolorosa contrazione, le imprese straniere sono aumentate del 4%, ed addirittura del 41% negli ultimi cinque anni. La presenza straniera in Italia si caratterizza anche per alcune tipicità produttive. E così le imprese dei cittadini romeni, che manifestano una forte vocazione per l'edilizia, sono aumentate in cinque anni del 204%, mentre i cittadini del Bangladesh, la cui vocazione è decisamente orientata al commercio alimentare ed ai cosiddetti phon center, hanno segnato una crescita del 134%. Nel comparto dell'edilizia è forte la presenza anche delle imprese albanesi; in questo caso l'incremento nel quinquennio è risultato superiore al 110%. Una recente rilevazione della CGIA di Mestre ha scoperchiato questa "pentola", facendo emergere tra l'altro un dato per molti versi sorprendente. Il fenomeno dell'imprenditorialità straniera in Italia non è affatto circoscritto alle ricche regioni del nord, ma è diffuso in maniera capillare in tutto il Paese, mezzogiorno ed Isole comprese.  Se non fa specie, infatti, scoprire che in Emilia Romagna le prime cinque più diffuse comunità straniere (Marocco, Albania, Cina, Romania e Tunisia) mettano assieme quasi 24 mila imprese, per altro verso sorprende non poco che in Sicilia si contino oltre quindicimila imprese facenti capo a stranieri. Le comunità più numerose nella nostra Isola sono quella tedesca con una quota del 17%, quella marocchina con il 14%, la svizzera con oltre il 10% , la cinese con il 7% ed infine la comunità del Bangladesh con il 5%. I dati forniti dalla associazione degli artigiani di Mestre non offrono informazioni sulla distribuzione negli anni delle imprese straniere. C'è da ritenere tuttavia che, nel caso siciliano, le imprese facenti capo ad imprenditori tedeschi e svizzeri siano nella media di più antica datazione, mentre quelle del Marocco, della Cina e del Bangladesh siano di più recente generazione. Qualunque sia la spiegazione, resta comunque il fatto che si tratta di una presenza significativa e dalle molteplici implicazioni. È sempre più arduo portare avanti la tesi secondo la quale gli stranieri sarebbero una presenza residuale, in tutti i sensi. In secondo luogo si conferma la sostanziale povertà del tessuto imprenditoriale siciliano, stante la rapida diffusione di imprenditori stranieri. In terzo luogo risalta ancora una volta la forte asimmetria esistente in Sicilia tra una struttura produttiva "povera" ed un mercato di consumo relativamente "ricco". Comunque, fin quando la strategia politica siciliana resterà saldamente impegnata nella crescita a dismisura dei dipendenti pubblici, sarà arduo che le cose possano cambiare. Per fortuna che ci sono loro: i "poveri" immigrati!

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