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Scontro nel Pdl, un inedito italiano

La direzione del Pdl è stata – nei toni, negli effetti, nella crudezza dei dettagli – una performance di «nudo integrale», assolutamente inconsueta nel panorama politico italiano. Tutto si è visto e tutto è stato detto e gli avversari che accusano il centrodestra di essere una satrapia senza anima e senza parole di dissenso sono stati smentiti. Il Pdl è vivo e vitale fino alla litigiosità e paga lo scotto della sua capacità d’attrazione fra i moderati portando alla luce diversità d’ispirazione e di speranza della sua gente, amalgamata ad ogni modo dal rifiuto della sinistra e dalla fiducia nella liberaldemocrazia. Il duello Berlusconi-Fini è stato duro, serrato, senza esclusione di colpi, caratterizzato dall’asprezza che è propria dei divorzi, anche se per il momento non c’è nemmeno la separazione. «Ti ricordi?» È stato questo il filo conduttore di un confronto impietoso, nel quale entrambi i contendenti hanno presentato un elenco di inadempienze e di presunte scorrettezze dell’altro, prima di ieri nascoste dietro il velo dei «si dice» e delle illazioni giornalistiche. Fini ha elencato elusioni programmatiche e rifiuti di dialogo, il premier ha ricordato lo stillicidio delle dichiarazioni ciritiche e delle punzecchiature strumentali volte a sminuire la leadership e l’azione di governo. Il presidente della Camera ha lamentato le «bastonature mediatiche» operate dai mezzi d’informazione vicini al premier o controllati dalla sua famiglia, il Cavaliere ha sottolineato le assenze dell’ex leader di An, in primis dalla campagna elettorale. Alle corte. Fini ha rivendicato il dritto di restare nel Pdl con una sua corrente, sia pure non organizzata con il rituale dei portavoce e dei luogotenenti, ha rivendicato il diritto al «dissenso organico». Ma su questo punto è stato battuto: la direzione del Pdl ha votato a schiacciante maggioranza (172 voti contro 11 e un astenuto ) il «no» alle correnti. Gli uomini e le donne del Pdl, secondo questo voto, andranno incontro a tutte le spigolosità dovute al legittimo esercizio del dissenso, ma non morranno democristiani. Il dibattito, tuttavia, ha fatto emergere l’anomalia che caratterizza questa fase dell’attività politica di Gianfranco Fini. L’ex leader di An e cofondatore del Popolo della Libertà è attualmente un anfibio: è presidente della Camera e tuttavia pretende di essere un leader politico con una sua spregiudicata capacità di movimento. Fausto Bertinotti, nel momento in cui divenne presidente della Camera, pur essendo stato uomo di fazione, in una sinistra adusa a demonizzare i vicini più dei lontani, smise di parteggiare nel suo stagno di provenienza. Fini ha rivendicato il diritto di rappresentare la terza carica dello Stato, e quindi tutti gli italiani politicamente organizzati, e di difendere coi denti le sue prerogative di cofondatore del Pdl. È un’anomalia palese, di fronte alla quale tutti i puntigliosi richiami del presidente della Camera nel Pdl perdono vigore. Come finirà? Il vertice e la conta di ieri non lasciano presagire nulla di buono, la separazione è nell’aria. Il lavoro dei «pontieri» diluisce nel tempo l’effetto dello strappo, che magari è soltanto rinviato. Potrebbe anche succedere, però, che l’impeto dei finiani si attenui, perché ogni attacco – come diceva Clausevitz perde progressivamente d’intensità fino ad esaurirsi. Il voto in direzione dimostra che la consistenza dei fedelissimi del presidente della Camera si va restringendo. Il resto potrebbero farlo, con pressioni dirette su eletti e dirigenti, gli elettori e i simpatizzanti del Pdl turbati da quel «nudo integrale» che magari non conoscevano. Anche questa è democrazia.

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