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Le manifestazioni di piazza non sono più monopolio della sinistra

Sarà bene non impantanarsi nella battaglia delle cifre, forse i sostenitori del Cavaliere che hanno affollato piazza San Giovanni non hanno superato il milione, così come sostengono gli organizzatori della manifestazione, ma certamente erano molto, molto più numerosi dei 200 mila di cui parlava sette giorni fa il Pd (la questura indicava 25 mila presenze). Valgano le immagini date dai telegiornali.
Nel confronto fra sabato 13 e ieri si sgretola il presunto monopolio della piazza storicamente vantato dalla sinistra, che in quella stessa piazza San Giovanni aveva celebrato altri trionfi in diverse stagioni. È cambiata anche l’attitudine dei moderati a marciare a manifestare, sempre nel rispetto delle regole della democrazia. E questo mutamento fa riflettere, specie se operato da una formazione di maggioranza che è nata da una costola di un presunto partito di plastica.
L’opposizione ha già detto che la manifestazione non significa nulla perché in realtà la maggioranza niente di nuovo avrebbe da comunicare, ma certamente parecchi dirigenti del Pd rimugineranno, nel segreto dei loro uffici, sulla tenacia e sul numero dei podisti moderati.
Nei confronti di Silvio Berlusconi le sinistre di ogni intonazione continuano a ostentare un atteggiamento irrealistico: minimizzano tutto, da quello che fa il governo alle sconfitte e agli smarrimenti dell’opposizione. L’immagine trasmessa nei giorni scorsi con apparente efficacia mediatica indicava un Cavaliere solo, circondato da un suo popolo dubbioso e intimidito. Quanto è credibile quell’immagine?
La compatta presenza dei leghisti e degli esponenti di ogni componente del Pdl ha fatto comprendere che governo e partito dei moderati, pur senza essere monolitici – così s’usa in democrazia – sono meno frammentati di quanto si creda.
C’è la questione di Fini, ma non è prudente, per le opposizioni, confidare in una rottura clamorosa. Forse avrà ragione Giuliano Ferrara, che si è assunto il compito di tentare una mediazione.
Il discorso di Berlusconi è stato quello di un leader sicuro e consapevole del consenso che le elezioni politiche gli hanno assegnato. Certo, non ha detto nulla di clamoroso: ma perché avrebbe dovuto rovesciare i principi e i programmi del Pdl e del governo?
Sotto questo profilo pesano di più le dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio nell’immediata vigilia della manifestazione romana. Berlusconi ha tracciato il disegno della “fase due” del governo e della maggioranza, riproponendo con energia il presidenzialismo e le riforme già indicate come necessarie, a cominciare da quella della giustizia.
È indubbio che il nostro sistema, politico ed economico, ha comunque bisogno di riforme incisive, resta da vedere se l’opposizione vorrà discuterne in parlamento, oppure continuerà ad erigere il muro dei “no”, come finora è avvenuto. Il presidente della Repubblica più e più volte ha invitato tutte le forze politiche ad abbassare il tasso di conflittualità che caratterizza la vita italiana, proprio nell’interesse superiore del Paese. Ma le parole di Giorgio Napolitano finora non hanno sortito nessun effetto. E la stessa sinistra, dalla quale il presidente proviene, lascia cadere nel vuoto ogni esortazione al dibattito costruttivo.
Queste elezioni regionali, alle quali arriviamo in un clima difficile per tanti versi velenoso certamente avranno una valenza politica che supera i dati meramente amministrativi.
Questo sbocco è stato voluto da entrambi gli schieramenti, che dovranno comunque meditare sui risultati che scaturiranno dalle urne. Non tutto il Pd guarda con deleteria fascinazione all’aggressività di Di Pietro che sogna un ribaltamento degli equilibri politici italiani sulla base di dati che appaiono poco realistici. A decidere saranno i podisti dell’una e dell’altra parte.

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