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Le proteste nella Grecia in crisi

Proprio nel giorno in cui il primo ministro Papandreu partiva per un giro delle grandi capitali per ottenere l'appoggio internazionale al suo piano di austerità, i sindacati greci hanno proclamato quattro ore di sciopero generale che hanno paralizzato scuole, ospedali e trasporti pubblici. E proprio mentre il Parlamento approvava con procedura d'urgenza il terzo pacchetto di economie in una settimana, che prevede il blocco delle pensioni, tagli di circa un mese di stipendio per i 700.000 dipendenti pubblici e aumenti dell'IVA, della benzina, dei tabacchi e degli alcolici, migliaia di dimostranti hanno attaccato i palazzi del governo e devastato il centro di Atene al grido "Non pagheremo noi per questa crisi". Gli investitori internazionali che appena 24 ore prima avevano concesso la loro fiducia al premier, acquistando buoni del tesoro decennali al 6,37 per cento per 4,8 miliardi di Euro che gli danno due mesi di respiro, si stanno chiedendo con inquietudine se sarà in grado di resistere alle pressioni della piazza o se dovrà fare concessioni che minerebbero immediatamente la sua credibilità. Ora che il governo è finalmente riuscito a soddisfare le richieste dell'Unione Europea con una manovra da 16 miliardi, che dovrebbe abbassare il deficit di bilancio dal 12,7 all'8,7 del PIL, e spera di conseguenza di ottenere da Bruxelles quella solidarietà indispensabile a soddisfare i mercati, la palla è passata al popolo. Se i greci riconosceranno di avere vissuto per troppo tempo al di sopra dei propri mezzi e si rassegneranno ad accettare la drastica riduzione del tenore di vita necessario a riportare i conti del Paese in ordine (e a consentire al Tesoro di collocare gli altri prestiti per un ventina di miliardi necessari a coprire i buchi di bilancio) il Paese riuscirà - bene o male - a uscire dal tunnel. Se invece prevarrà la retorica anticapitalista e antieuropea della sinistra politica e sindacale e i potenti rappresentanti del pubblico impiego rifiuteranno i sacrifici che sono stati loro imposti, l'UE finirà con il voltare le spalle alla Grecia e l'abisso del default si avvicinerà pericolosamente. Per ora, sembra che il 60% della popolazione, pur simpatizzando per le categorie più sacrificate, approvi i provvedimenti adottati e sia disponibile a sostenere il governo, ma in situazioni come queste le minoranze rumorose prevalgono spesso sulle maggioranze silenziose. L'Europa intera segue con il fiato sospeso questo braccio di ferro, perché sa che potrebbe ripetersi tra breve negli altri Paesi sotto pressione, che nel giro di poche settimane dovranno a loro volta introdurre aumenti di tasse e tagli di spesa. Come socialista, Papandreu ha avuto un coraggio quasi inaspettato nell'imporre sacrifici a quelli che sono in maggioranza suoi elettori, ignorando le obiezioni di importanti esponenti del suo stesso partito. Quando verrà anche per loro il momento di agire, avranno lo spagnolo Zapatero, il portoghese Socrates, l'irlandese Cowen - egualmente alla testa di governi di sinistra - altrettanta determinazione? Tutti tre stanno aspettando di vedere quale è la strategia più efficace per fare inghiottire all'elettorato l'amaro calice che dovranno propinargli. La speculazione resta in agguato e, se concluderà che la Grecia, dopo tutto, riuscirà a "scollinare", non esiterà a buttarsi su chi non si mostrerà altrettanto risoluto. Il successo del pellegrinaggio di Papandreu, che ieri sera ha visto Angela Merkel (riluttante ad esporsi troppo a suo favore per timore di negative reazioni interne e soprattutto di creare un precedente), nel weekend incontrerà Sarkozy (più disponibile ad aiutarlo almeno a parole) e la settimana ventura visiterà Obama (sotto pressione per venirgli incontro da parte della influente comunità greco-americana, ma pieno di guai per conto suo) dipenderà in ultima analisi proprio da come si comporteranno in questi giorni i suoi cittadini; c'è da augurarsi che anche i più arrabbiati lo capiscano, e non compromettano una operazione che continua a procedere sul filo del rasoio.

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