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Bertolaso e Letta, una campagna per indebolirli

Guido Bertolaso e Gianni Letta. Il primo ha lavorato splendidamente con tutti i governi degli ultimi dieci anni, il secondo - pur essendo da oltre vent'anni il braccio destro di Berlusconi - avrebbe fatto felice qualunque leader del centrosinistra. Bene, la campagna in corso ha come scopo non secondario quello di indebolire entrambi.
La politica è sangue e merda, diceva a ragion veduta un esperto del ramo come Rino Formica, socialista della Prima Repubblica. Poca meraviglia, dunque, per quanto sta accadendo. Protezione Civile Spa ha perso la Spa non tanto e non solo nel legittimo timore che sotto la primissima linea potessero annidarsi affaristi di pochi scrupoli, quanto perché la nuova creatura avrebbe certificato il potere della Presidenza del Consiglio (quella di oggi, ma anche quelle di domani) nel rendere rapido e semplice tutto ciò che abitualmente, nella maledizione italiana, è terribilmente complicato. Il sistema Bertolaso, patrocinato da Gianni Letta fin dalla precedente legislatura di centrodestra, ma in vigore ben da prima del 2000, ha funzionato così bene che nei due anni del governo Prodi il centrosinistra vi ha attinto giustamente a piene mani. Vi sono stati e vi sarebbero forse stati in futuro degli eccessi: viene citata come simbolica, a questo proposito, la festa di San Giovanni da Copertino. Ma la sostanza resta intatta. Poteva Romano Prodi evitare l'incarico a Bertolaso per la gestione del G8 della Maddalena? Poteva evitargli l'incarico per i rifiuti di Napoli? Qui Berlusconi si è limitato a confermare a Bertolaso i poteri di Prodi. Ma non aveva nel governo i Verdi e Rifondazione che glieli annullavano. Poteva Rutelli non affidargli il Giubileo e il governo di centrosinistra ignorarlo per tutte le competizioni sportive internazionali cadute nel biennio di competenza? Senza parlare, di nuovo per Berlusconi, del terremoto dell'Aquila e del G8 aquilano. Il prefetto dell'Aquila ha assicurato l'assoluta regolarità degli appalti, ma è giusto che la magistratura faccia le sue verifiche. Nessuno naturalmente protesterà se nelle prossime calamità naturali Bertolaso avrà gli stessi poteri di sempre. Ma non siamo affatto sicuri, per esempio, che l'Expo milanese del 2015 possa essere gestito completamente con le procedure ordinarie. Andiamo oltre. Quando visitò il 15 settembre scorso i cantieri delle prime case antisismiche dell'Aquila, Berlusconi mi disse che - vista la qualità, la rapidità e il modestissimo costo (circa 1500 euro al metro quadrato), avrebbe voluto usare lo stesso sistema per risolvere l'emergenza carceri. Per costruire una prigione tradizionale in Italia occorrono tredici anni. Per costruire alloggi per i ventimila detenuti in più che abbiamo rispetto alle disponibilità, prendendosela molto comoda rispetto alle esigenze dell'Aquila, basterebbero tra i due e i tre anni. Dovremmo rinunciarci per ridimensionare i poteri di Letta e Bertolaso, come è parso di capire ieri da un ordine del giorno approvato contro il parere del governo sulla priorità alla sistemazione delle carceri esistenti?
C'è tempo per fare tutti i controlli che si vuole, ma guai a perdere un esempio di eccellenza assoluta nelle opere pubbliche che ci viene invidiato nel mondo. Le procedure, ha detto ieri giustamente Fini, non sono inutili orpelli. Ma hanno finito in molti casi col ridurre l'Italia alla paralisi. E se negli ultimi dieci anni nel sistema Bertolaso non s'è sentito l'odore di una mazzetta, non è detto che l'emergenza faccia rima con delinquenza. D'altra parte il più colossale grumo di corruzione si è avuto con Tangentopoli: tutti gli appalti si facevano seguendo le procedure ordinarie, ma questo non ha evitato la più grossa ruberia della storia italiana moderna. Non sono perciò le procedure a garantire la trasparenza, mentre solo l'emergenza - purtroppo - garantisce il risultato. L'altro elemento che fa riflettere in questa storia sono le ventimila pagine di intercettazioni telefoniche messe a disposizioni dei giornali. La gran parte di noi giornalisti considera le paginate che da dieci giorni riempiono molti quotidiani un monumento alla libertà di stampa. Come ogni libertà, tuttavia, anche la nostra - riconosciuta dalla Costituzione - dovrebbe incontrare un limite nella lesione dei diritti altrui. Vorrei perciò che ciascuno di noi si mettesse per un istante nei panni non di quel gagliardo imprenditore che rideva nel letto la notte del terremoto e che dovrebbe provare il brivido di un muro sulla testa, quanto delle tante persone palesemente entrate in questa storia senza responsabilità penali e che tuttavia resteranno sputtanate a vita. Dovremmo paradossalmente augurarci, per il buon nome della magistratura e di alcuni giornali, che a carico di Bertolaso fossero trovate prove ben più solide di una malintesa telefonata per un malinteso massaggio. Altrimenti saremmo davvero un Paese perduto

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