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Ma che sia un'occasione di sviluppo

L’economia siciliana soffre di una forma assai grave di «tossicodipendenza». Le tossine del precariato ed in genere del posto di lavoro pubblico frustrano le potenzialità di tanti siciliani e non rappresentano comunque una soluzione. La capacità della Sicilia di creare posti di lavoro resta esclusivamente affidata alla spesa pubblica. Pertanto con il bilancio regionale ancora in esercizio provvisorio, con i fondi statali FAS bloccati a Roma e con i fondi europei ai nastri di partenza, l’orizzonte resta tetro. Quarantamila posti di lavoro sono andati in fumo in Sicilia nell’ultimo anno. Tuttavia, per la prima volta in questa legislatura, esiste la possibilità di fare un passo concreto nella direzione dello sviluppo e quindi della creazione di posti di lavoro veri. Questa occasione è il piano casa. Una soluzione controversa, qualche volta temuta, talora auspicata. La Sicilia più che mai ha bisogno di uscire dal modello perverso che affida la soluzione di tutti i problemi ad un posto di lavoro nella pubblica amministrazione. Bisogna spezzare queste insostenibili catene, aprendosi a scelte di politica economica funzionali all’obiettivo della crescita.
Il piano casa può essere una prima importante risposta. Le costruzioni, siano case di civile abitazione, siano capannoni per attività produttive, restano il primo è più potente motore dell’economia. E questo, si badi bene, vale per i Paesi in via di sviluppo, come per le più avanzate economie al mondo, per intenderci gli Stati Uniti o il Giappone. Le attività di costruzione mettono in circuito risorse che in tempi brevi generano altre risorse. Si pensi ai materiali da costruzione che per la gran parte si producono localmente; si pensi alle maestranze da impiegare. Ma si pensi anche che, grazie allo statuto speciale, il gettito iva delle imprese siciliane affluisce alla Regione, in un circolo virtuoso che produce nuova ricchezza. Il Parlamento siciliano, in prima battuta, gli assessorati regionali coinvolti, i comuni, sono tutti chiamati ad una sfida importante: aprire i cantieri, velocizzare al massimo le procedure, non perdere di vista i controlli. Mettere in moto il piano casa rappresenta infatti una straordinaria opportunità. Ma qualche paletto non deve mancare. Nessuno può interpretare il piano casa come un rompete le righe. Servono quindi regole; poche, chiare e precise. Servono ampie intese politiche, anche trasversali, che sappiano coniugare il rigore con la funzionalità. Paradossalmente l’attuale intricata situazione politica potrebbe essere giocata in positivo, per determinare una visione coesa e condivisa delle regole e magari qualche colpo d’ala. Ci permettiamo di auspicarne tre. L’occasione è ghiotta per un massiccio ricorso alle soluzioni tecniche termo e fonoassorbenti. Poi si potrebbe puntare la prua con determinazione verso l’ampio impiego di energie rinnovabili. Resterebbe infine una questione apparentemente estetica. Definire i prospetti delle tante abitazioni lasciate senza la “facciata”; da sola questa misura attiverebbe migliaia di piccoli cantieri, mettendo la parola fine allo sconcio di tanti paesi e di tante periferie. Sembra strano ma tutto questo potrebbe semplicemente chiamarsi piano casa.

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