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L'Europa e la "malaspesa" siciliana

La Sicilia muove alla conquista dell'opinione pubblica europea; e lo fa alla sua maniera, conquistandosi la prima pagina di Le Figaro con una storia di «malaspesa» pubblica. Lo storico quotidiano francese non racconta ai suoi lettori di spiagge immacolate, di miti inverni o di splendide testimonianze della storia antica. Le Figaro si occupa dei dipendenti regionali, dei loro stipendi, del loro esorbitante numero, del sopravvivere di alcuni privilegi. Quella che ne viene fuori è l'immagine di una Sicilia arrotolata su se stessa, avviluppata nel suo malgestito autonomismo, soffocata nelle spire mortali di un sistema che pericolosamente ha scelto di affidare la soluzione del problema del lavoro ad una spaventosa dilatazione degli organici pubblici. Questa strada non porta da nessuna parte.
Forse ha svolto un funzione surrogatoria del lavoro che non c'è in chiave sociale, ma oggi di sicuro evidenzia tutte le sue molteplici crepe. Se infatti il sistema Sicilia potesse farsi carico della "occupazione sociale" per tutti coloro che non hanno un lavoro ed un reddito, poco male. Purtroppo le cose non stanno così. Ufficialmente la Sicilia, regina incontrastata in Italia (mezzogiorno compreso) della disoccupazione e del lavoro nero, conta appena un milione 672 mila occupati ed almeno 700 mila persone che, a vario titolo, cercano un lavoro. Davanti a numeri di questa consistenza cosa mai possono rappresentare 120-150 mila precari? E tuttavia questo piccolo manipolo di occupati costa 2,5 miliardi di euro all'anno, oggi reperiti con qualche salto mortale tra le pieghe dei fondi europei. Ma domani?
Obiettivamente non è facile sciogliere una matassa tanto ingarbugliata, ma non lo diventerà di sicuro (più facile) rinviando il problema a tempi indefiniti. Non sarà sfuggito neanche al lettore più distratto che oggi l'attenzione politico-mediatica si concentra in Sicilia su alcuni poli di particolare criticità, come Fiat Termini Imerese o come Keller. È ovvio che si tratta di questioni che, anche per il carattere simbolico oltre che per i tanti posti in gioco, meritano la massima attenzione. Ma ciò che desta sorpresa è l'apparente disinteresse per i 39 mila siciliani che un lavoro l'hanno già perso negli ultimi dodici mesi. Qui non si vuole ipotizzare una guerra tra poveri, ma non è credibile limitarsi a gestire alcuni, sia pure rilevanti punti crisi, senza affrontare il cuore del problema. Che poi è sempre lo stesso. Sviluppo e lavoro vero. Che cosa serve all'imprenditore, locale o meno, perché si impegni in iniziative produttive nel nostro territorio? L'elenco è lunghissimo. Servono prima di tutto infrastrutture di servizio alla collettività. Servono strade, linee ferrate, acquedotti, fognature e depuratori. Serve una soluzione vera al dramma dello smaltimento dei rifiuti; servono procedure semplici e veloci. Nulla di nuovo sotto questo cielo. Ma si stenta ad operare. Detto con un pizzico di retorica, quanti sarebbero capaci di «agitare la piazza» dell'opinione pubblica per realizzare una rete elettrica come nel resto d'Italia? Pochissimi si sentirebbero motivati verso una battaglia di questo genere. Eppure da una rete rabberciata come la nostra discende il più alto livello di interruzioni elettriche d'Italia; discende una difficoltà oggettiva per l'impresa (maggiori costi e continue interruzioni); discende una dequalità dell'offerta turistica; discende una criticità complessiva del sistema Sicilia che, pure, ricordiamolo, produce più elettricità di quella che le serve e cede l'eccedenza all'Italia continentale. A ben vedere Le Figaro si occupa di altre più "minute" questioni; ma forse, tutto considerato, è anche meglio così.

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