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Giudizio rapido per il sindaco di Licata: un diritto di chi lo ha votato

Il sindaco di Licata continuerà formalmente ad essere il vertice politico del governo cittadino ma non potrà mettere piede nel territorio di quel Comune. Non si tratta di un paradosso ma dell'applicazione della legge. Infatti, è la conseguenza della decisione del Tribunale del riesame che ha confermato il provvedimento del gip del Tribunale di Agrigento che ha firmato il divieto di dimora a Licata. Naturalmente non sta a noi valutare la fondatezza o meno dell'accusa penale, della quale il sindaco avrà modo di difendersi nell'ambito del processo. Il divieto di dimora, comunque, è una misura prevista dall'ordinamento quando l'autorità giudiziaria ritiene che ci sia il pericolo di inquinare le prove o di commettere nuovi reati. In astratto, simili misure sono necessarie - fermo restando la necessità che poi l'accusa sia provata oltre ogni ragionevole dubbio - per evitare il pericolo di nuovi reati o dell'inquinamento delle prove.
Certamente, quando simili misure colpiscono un cittadino che ricopre un'importante carica istituzionale, vengono in rilievo tanti problemi. Il primo riguarda la funzionalità del Comune quando al sindaco è fatto divieto di entrare nel Palazzo comunale. Al riguardo, vi è un elementare strumento previsto dall'ordinamento. Se c'è un impedimento all'esercizio delle funzioni da parte del sindaco ci sarà il vice-sindaco che lo sostituisce assicurando la continuità nella direzione politico-amministrativa dell'Ente. E' vero che soltanto il sindaco è stato scelto direttamente dalla popolazione, mentre il vice-sindaco, privo della legittimazione democratica diretta, non potrà fare altro che assicurare solamente la "ordinaria amministrazione". Ma questo non è un buon motivo per escludere, in radice, misure come il divieto di dimora per il sindaco. Infatti, l'elezione diretta - che è stata una conquista democratica della "Seconda Repubblica" - non è un salvacondotto che possa assicurare l'immunità penale dei capi dei governi locali. E se ci sono fondati motivi per ritenere che esista il rischio della reiterazione del reato o dell'occultamento delle prove, è giusto che l'autorità giudiziaria disponga degli strumenti per assicurare il corso fisiologico della giustizia.
Semmai c'è - ed è rilevantissimo - un problema di tempi. Tempi della misura e tempi del processo. Occorre, cioè, evitare che resti a lungo tempo una situazione di incertezza e di precarietà amministrativa. La misura deve essere mantenuta per il tempo strettamente necessario a raccogliere le prove e fino a quando esistano convincenti ragioni di un pericolo di alterazione delle prove. Il processo, soprattutto quando coinvolge i titolari di cariche istituzionali, deve svolgersi rapidamente. Una giustizia lenta è sempre una giustizia dimidiata. Occorre, quindi, profondere ogni sforzo affinché si arrivi rapidamente all'accertamento processuale della verità, anche perché i cittadini che hanno scelto una determinata persona come loro sindaco hanno diritto di sapere se hanno scelto una persona che ha abusato della loro fiducia oppure no, e comunque hanno diritto ad un governo locale efficiente e privo dell'ombra di una pesante accusa penale.
In ogni caso, poi, c'è un grande problema di etica pubblica. Ovviamente, allo stato, non c'è alcuna affermazione di colpevolezza penale: il Sindaco avrà modo di difendersi ed i giudici dovranno valutare se ha commesso un reato oppure se è innocente. Ma il grande problema che ricorre nella nostra Repubblica è quello di recuperare la fiducia dei cittadini nella politica e nelle istituzioni, Per fare ciò occorre riprendere l'insegnamento dei classici per cui la virtù è il primo fondamento della Repubblica. Alla classe politica si chiede qualcosa di più di ciò che si chiede al comune cittadino. La classe politica, per essere autorevole e per garantire la fiducia nella «cosa pubblica», deve sforzarsi di essere al di sopra di ogni sospetto, deve essere capace di dimostrare la sua dedizione all'interesse generale. Se non riscopriamo il valore della «virtù repubblicana» nessuna riforma istituzionale potrà servire a rafforzare la legittimazione delle istituzioni e la loro capacità di governo.

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