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Obama e la riforma a rischio

Una grossa sorpresa che fa male alla salute. A quella, forse, delle decine di milioni di americani che sono privi di assistenza medica e hanno sperato per mesi di riceverla come primo regalo della Casa Bianca di Barack Obama. E certamente di Obama, che ha ora toccato con mano il fondo della caduta della sua popolarità proprio nel primo anniversario del suo accesso al potere. La scivolata era cominciata quasi subito, non sorprendeva nessuno e tanto meno allarmava: è un fenomeno quasi fisiologico di tutti i nuovi presidenti, tanto più forte quanto più di "nuovo" c'è nell'immagine del fresco inquilino del numero 1600 di Pennsylvania Avenue. Un elastico torna indietro con più forza quanto più è stato tirato. Abitudine puntualmente riscontrata finora, nella lettura dei sondaggi, nei risultati di altre elezioni "parziali" (i repubblicani hanno conquistato nel novembre scorso le poltrone di governatore nel New Jersey e in Virginia), nella crescente riluttanza di deputati e senatori democratici a seguire le rotte indicate dal presidente, anche e soprattutto quando esse erano coerenti con le promesse non solo sue ma dell'intero partito nella campagna del 2008.
Ma una "botta" come quella di martedì non la prevedeva, fino a meno di due settimane fa, proprio nessuno. Per la sua localizzazione geografica, perché il seggio che un candidato conservatore quasi sconosciuto come Scott Brown ha conquistato al primo tentativo era il "seggio Kennedy", quasi una proprietà di famiglia nello Stato considerato fra i più "liberal" d'America. Dunque la campagna fu sotto tono e quasi ignorata. Fino all'esplodere di un sondaggio proposto soltanto per dovere: era diventato un "testa a testa". Sirene d'allarme alla Casa Bianca: in retta d'arrivo Brown ha spinto il naso in avanti.
Tutto sommato la vicenda sarebbe poco più di un aneddoto, una curiosità di cui è ricca la storia anche folklorica delle campagne elettorali Usa. Invece è una "bomba": per quello che rivela e, ancor più, per le previsioni che suscita. Che cosa è saltato in testa agli elettori del Massachussetts, si chiedono ora i commentatori che fino a un paio di settimane fa pontificavano sull'"inarrestabile" declino del Partito repubblicano e sul fatto che i democratici stavano diventando il "partito di maggioranza naturale" in America. Nello Stato ci sono tre democratici per ogni repubblicano. Hanno cambiato ideologia? No, sono stati a casa, non tanto i "moderati" ma proprio i più "liberali", gli "obamiani" di cuore e non di ragione. Sono stati a casa perché delusi, perché contavano su un presidente ideologico e decisionista e si sono trovati con un leader razionale, pragmatico e "timido". Nei suoi tuttora affascinanti discorsi Obama si ispira a Franklin D. Roosevelt (oppure, per astuta equanimità, a Ronald Reagan), ma in pratica cerca di evitare gli scontri frontali, persegue l'arte del possibile, si consulta con tutti e a tutti un po' si ispira. Ne estrarrà probabilmente un trenta e lode dagli storici, ma lo indebolisce agli occhi dei cronisti. Da tempo i democratici "puri e duri" lo criticano con severità quasi paragonabile, anche se per motivi opposti, alle bordate ad alzo zero dei repubblicani più conservatori. Il duplice logorio lascia evidentemente tracce. La sconfitta di martedì allarma i democratici non solo per motivi sentimentali, non solo perché è accaduto nel Massachussetts ma anche perché potrebbe essere l'anteprima di un fenomeno generale: l'America è entrata in una nuova campagna elettorale, quella per il Congresso del novembre 2010 e le maggioranze democratiche sono in pericolo sia al Senato sia alla Camera.
Ma queste sono previsioni a media e lunga scadenza. Sono invece immediate le conseguenze, soprattutto una: la riforma della "salute" è gravemente malata. È imminente, o lo era, la conclusione della maratona legislativa con il procedimento della "conciliazione" fra i testi approvati nei due rami del Congresso. Si sarebbero incontrati più o meno a metà e, sia pure in misura limitata, si sarebbe aperta anche in America l'era della previdenza medica universale. Ma per far passare la versione definitiva mancano ancora due "sì" di ratifica, quello della Camera e quello del Senato. E nella Camera Alta non basta una maggioranza di cinquantuno seggi su cento: ne occorrono sessanta. I democratici sessanta erano ma ora sono cinquantanove. E i conti potrebbero non tornare più.

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