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Salvare la Fiat rispettando le regole del mercato

Il caso dello stabilimento siciliano della Fiat a Termini Imerese dà il senso di come la politica sia capace di perdere la bussola. La cosa è grave e anche seria. Ci sono 1.400 dipendenti che lavorano bene per ammissione stessa dei dirigenti del gruppo che non hanno mai sollevato contestazioni al riguardo. La Fiat ha intenzione di non destinarlo più all'auto. Alcuni ministri, a cominciare da Scajola, provano a disegnare un futuro diverso. In Sicilia non ci sono acciaierie, non ci sono aziende fornitrici, non ci sono collegamenti di buon livello: costruire una Lancia Y in Sicilia costa alla Fiat mille euro in più che nel resto d'Italia. Banalmente per questo motivo Sergio Marchionne ha in mente di mollare la produzione di automobili in Sicilia.
Il manager si fa due conti: e a meno di improbabili regali Termini Imerese è destinata a perdere la sua produzione di auto. Almeno con il marchio Fiat. Ora si fa avanti un finanziere di origine agrigentina. Si chiama Simone Cimino, viene da Porto Empedocle e sta trattando un accordo con un gruppo indiano per fabbricare l'auto elettrica. Sostiene che il suo progetto è talmente buono che può anche prescindere da Termini. Se la Fiat rende disponibile lo stabilimento, bene. Altrimenti lui andrà avanti. In Sicilia o altrove. Che dire? È un sognatore? Un illuso? Speriamo veramente di no. Speriamo che il suo progetto funzioni. Secondo le regole del mercato però. Senza droghe e senza contributi.
Certo la Fiat ha goduto di generosi incentivi alla rottamazione. Alla fine il saldo per le casse pubbliche è stato positivo. Così come buona parte della forte ripresa del Pil italiano è dovuto proprio alla ripresa dell'industria automobilistica. Il governo, tra i tanti comparti industriali del nostro Paese, ha scelto di dare una mano all'auto. Un governo che faccia le scelte industriali al posto della Fiat, si candida a gestirne i suoi inevitabili buchi di bilancio per i prossimi secoli.
Per lo stabilimento siciliano c'è un'ipotesi di salvataggio. L'operazione è difficile. Cimino e gli indiani della Reva avranno le stesse difficoltà della Fiat. L'assenza di strutture, il deserto tecnologico circostante, la carenza di infrastrutture. Già così la proposta appare quasi temeraria. Tuttavia Cimino si è dichiarato disponibile ad andare avanti. Gli indiani rappresentano un grande gruppo. La partita è difficile ma non impossibile. Il governo vada a vedere di che cosa si tratta. Se siamo in presenza di un progetto solido o semplice avventurismo. Senza pregiudizi e senza spirito partigiano. Senza promettere nulla che poi non sarà possibile mantenere. Semplicemente chiedendo il rispetto delle regole del mercato. Nulla di più. Nulla di meno. Sarà una grande lezione di serietà per tutti: finalmente un intervento nel Mezzogiorno effettuato rispettando le regole del gioco. Un fatto senza precedenti.

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