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"Generi alimentari in cambio di voti": indagato Pellegrino

Avviso di garanzia con invito a comparire notificato dalla Dda di Palermo al deputato regionale di Forza Italia Stefano Pellegrino. Il parlamentare è indagato per il reato di corruzione elettorale nell'ambito dell'inchiesta dei carabinieri di Trapani che oggi ha portato al fermo di tre imprenditori accusati, tra l'altro, di aver finanziato la famiglia del boss latitante Matteo Messina Denaro.

Al deputato, che è anche membro della commissione regionale Antimafia, eletto alle ultime elezioni regionali con oltre 7670mila preferenze, i pm contestano di aver avuto il sostegno elettorale degli imprenditori Calogero Luppino e Salvatore Giorgi, oggi fermati con l'accusa di associazione mafiosa.

Secondo gli inquirenti, Luppino e Giorgi, obbedendo agli ordini inviati dal carcere dal boss detenuto Franco Luppino, avrebbero sostenuto la candidatura alle elezioni regionali del politico, promettendo e distribuendo generi alimentari agli elettori in cambio della promessa di voto.

A Pellegrino, marsalese, avvocato, non è stata contestata però l'aggravante mafiosa. Nella scorsa legislatura il politico 61enne era subentrato a Girolamo Fazio, dimessosi dopo essere stato indagato in un'inchiesta per corruzione. L'indagine odierna è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall'aggiunto Paolo Guido e dai pm Francesca Dessì e Gianluca De Leo.

LE INTERCETTAZIONI. Salvatore Giorgi ammette che in cambio della promessa di voto per Pellegrino avrebbe consegnato pacchi di spesa a tutti gli abitanti delle case popolari: "A fine ottobre vero che gli portai la spesa pure a loro", dice, non sapendo di essere ascoltato dai carabinieri.
Le indagini hanno accertato che sarebbe stato Pellegrino a rivolgersi a Luppino e a Giorgi, confidando nel largo consenso che questi avevano avuto in occasione delle precedenti elezioni comunali di Campobello di Mazara attraverso il movimento politico "Io amo Campobello".

Luppino sarebbe anche riuscito a distrarre preferenze da un altro candidato, Toni Scilla, in favore di Pellegrino. Il 9 ottobre 2017 l'imprenditore contattò Benedetto Riti, un commerciante che lavora nel settore delle slot machines ed è vicino alla famiglia mafiosa di Mazara del Vallo. "Non fare più riunioni con Scilla, non fare più niente con nessuno ed inizia ... Perché ti porto i fac-simile e pure i manifesti". Quindi ti devi esporre in prima persona, non cominciare a fare la carta tre!", disse Luppino.

"Noi siamo andati avanti, e facciamo continuare ad andare avanti con Stefano qualsiasi cosa serve. Anche perché è uno contro uno, qua. E siamo avanti. Che fa? Se dobbiamo vincere, non dobbiamo rischiare di perdere", spiegò Luppino a Riti.

"Oggi sono andato con Nino da Stefano Pellegrino e abbiamo parlato di politica e compagnia bella, domani si fanno i deputati questori. Lui, non so cosa minchia gli spetta, lui mi ha detto: 'io ho già parlato con l'assessore quelli di... tutti gli assessori disponibili a venire in provincia di Trapani ha parlato addirittura con Sgarbi per le Cave di Cusa, e compagnia bella'". Così l'imprenditore Mario Giorgi parlava col nipote Calogero Luppino.

"Pellegrino mi ha detto - proseguiva Giorgi - 'e vediamo rispetto agli assessorati dove possiamo... mettere, tutti... anche persone nostra di fiducia' ed ha detto che vuole un curriculum per quanto riguarda un revisore dei conti all'assessorato all'Agricoltura che è un assessore di Forza Italia questo... Dice: 'datemi un curriculum di un revisore dei conti iscritto all'albo... e cose, e poi vediamo le altre cose che possono nascere'".

L'INDAGINE. Dei piani elettorali dei due imprenditori trapanesi fermati per mafia, Luppino e Giorgi sarebbe stato informato anche il capo mandamento Dario Messina che, il giorno dello "spoglio" delle schede, venne aggiornato con sms dei risultati.
Il boss avrebbe anche ammesso coi due amici di aver procurato "162 voti" tra "parenti e cose" al parlamentare. "In ogni caso - spiegano gli inquirenti nel provvedimento di fermo - dal complesso delle investigazioni svolte non è comunque emersa la messa a disposizione di Pellegrino in favore dell'associazione mafiosa e, pertanto, in relazione a un presunto accordo politico-mafioso tra Cosa nostra e il candidato, non si è raggiunto, allo stato e salvi ulteriori sviluppi, un grave quadro indiziario in riferimento alle possibili e diverse ipotesi di concorso in associazione mafiosa".
"Del tutto chiaro è l'interesse di Luppino e di Giorgi - proseguono i pm - all'appoggio politico di uno specifico candidato, giacché è anche e soprattutto grazie all'infiltrazione nel tessuto politico che gli stessi possono conseguire il controllo delle attività economiche".

"Dalle investigazioni svolte, allo stato attuale - concludono - non è emersa la prova che gli esponenti politici (Pellegrino e un altro candidato, Toni Scilla, ndr) si siano rivolti a Luppino e a Giorgi non solo perché imprenditori di rilievo e rappresentanti del movimento politico locale 'Io amo Campobello', ma anche perché consapevoli della loro appartenenza mafiosa".

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