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Elezioni in Bangladesh, scontri e violenze nel giorno del voto: 10 morti

elezioni in Bangladesh

Almeno 10 persone sono rimaste uccise in scontri tra manifestanti e polizia in diverse zone del Bangladesh, mentre sono in corso le elezioni. Lo riferiscono i media locali. L’Associated Press ha ricevuto oltre 50 segnalazioni di intimidazioni e minacce ai seggi, denunciate da sostenitori dell’opposizione, anche se non è stata in grado di verificarle in modo indipendente.

Il voto è visto come un referendum sulle tendenze considerate sempre più autoritarie della premier Sheikh Hasina.

La situazione è di forte tensione: in vista del voto, il governo della potente premier Sheik Hasina, 71 anni, leader della Awami League, la Lega del popolo bengalese, che secondo tutte le previsioni vincerà per la terza volta, ha ristretto ulteriormente le libertà personali bloccando l’uso di internet sui dispositivi mobili in tutto il paese e vietando la circolazione, nella capitale Dacca, di tutti i veicoli privati.

Potranno spostarsi solo gli osservatori elettorali e i giornalisti. Nessuno riesce a prevedere quale potrà essere l’affluenza: alle ultime elezioni, nel 2014, andò a votare solo il 22 per cento degli aventi diritto, anche per il boicottaggio del partito di opposizione, il BNP, Partito Nazionalista del Bangladesh, della ex premier Khaleda Zia (oggi in carcere, condannata a 17 anni per essersi appropriata di finanziamenti destinati ad associazioni di beneficenza), che quattro anni fa non partecipò alla competizione. Quest’anno il BNP è tornato in gioco, ha scelto un leader di lunga esperienza, Kamal Hossain, e si è rimesso in corsa in una coalizione di venti formazioni. In corsa, ma, in pratica, senza averlo fatto sapere agli elettori.

Per tutta la campagna elettorale (brevissima, perché la data è stata annunciata appena un mese fa), il BNP e gli alleati hanno denunciato l’impossibilità di tenere comizi e manifestazioni. «Anche là dove siamo arrivati a parlare con la gente, siamo stati vittime di agguati e violenze, da parte dei militanti dell’Awani, ma anche da parte della polizia e dell’esercito», denunciano le opposizioni.

Non solo: sempre secondo le opposizioni, dal giorno dell’annuncio, più di 8200 tra leader e attivisti delle loro fila sono stati messi a tacere, in carcere. La campagna è stata così sbilanciata e contrassegnata da aggressioni che persino Mahbub Talukdar, uno dei cinque componenti della Commissione elettorale, l’organismo che dovrebbe garantire equità di condizioni a tutti i partiti, ha ammesso che la campagna non si è svolta su un terreno di parità.

«È indiscutibile che il governo di Hasina viola i diritti umani, fa scomparire le persone e reprime le opposizioni, ma è altrettanto vero che negli ultimi anni ha ottenuto ottimi risultati in campo economico e sociale», osserva Syed Badrul Ahsan, redattore capo del quotidiano di Dacca The Asian Age. "Molti temono che un eventuale successo del BNP farebbe di nuovo indietreggiare il Bangladesh».

Ahsan ricorda anche le capacità della Hasina sullo scacchiere internazionale: «La premier si è rivelata pragmatica nei rapporti con India e Cina e si è guadagnata ottima reputazione riuscendo ad accogliere i 700mila profughi Rohingya, ma evitando le ostilità con il Myanmar».

Il vero problema della Hasina, che si è rivelata la leader più forte di tutta la storia del Bangladesh, oltre all’impronta decisamente illiberale, all’autoritarismo e all’intolleranza per il dissenso, è la condiscendenza verso gli estremisti. Dopo l'attentato del 2016, che portò alla morte di 20 ostaggi in un ristorante di Dacca, Hazina represse con determinazione il terrorismo islamico. Ma recentemente il suo partito si è avvicinato al Hefazat-e-Islam, una setta religiosa più che un movimento politico, che vorrebbe imporre al Bangladesh un programma socio-religioso di norme, oscurantiste, particolarmente penalizzanti per i diritti delle donne.

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