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Scontro giudiziario sulla morte di Giulio Regeni, l'Egitto respinge l'indagine dell'Italia

E’ uno scontro non solo politico e diplomatico ma, ora, anche giudiziario quello sulla morte di Giulio Regeni. Gli inquirenti egiziani respingono la decisione dei colleghi della Procura di Roma di iscrivere nel registro degli indagati alcuni agenti dei servizi egiziani, presentata durante l’ultimo incontro al Cairo. Lo riferisce una fonte giudiziaria egiziana all’agenzia Mena. Analoga richiesta, è fatto notare, era stata presentata nel dicembre 2017, ma era stata rifiutata perché nella legge egiziana «non esiste» il registro degli indagati.

La stessa fonte sottolinea come l'attività di sorveglianza degli agenti rientri nei loro compiti. E invitano gli inquirenti italiani ad indagare in direzione del visto che aveva Regeni: un visto turistico e non per studenti nonostante fosse un ricercatore.

L’attenzione della Procura di Roma è rivolta su una decina di persone coinvolte nella vicenda del ricercatore italiano trovato privo di vita, dopo essere stato torturato, il 3 febbraio del 2016. E appare imminente ormai l’iscrizione sul registro degli indagati di almeno sette persone, tra loro 007 egiziani. Ma il focus giudiziario sembra anche su alcuni vertici delle forze dell’ordine egiziane. Si tratta di soggetti che avrebbero di fatto messo «sotto controllo» Regeni, a partire dal dicembre del 2015, con una serie di attività culminate con la registrazione video di un colloquio tra il sindacalista Mohamed Abdallah e il ricercatore avvenuta il 7 gennaio di quasi tre anni fa.

Dalle carte delle indagini emergono i profili di funzionari dei servizi e della polizia investigativa cairota. Dopo la denuncia di Abdallah, sindacalista dei venditori ambulanti che era stato avvicinato da Giulio, i contatti sono stati gestiti dal colonello Ather Kamal che porterà Abdallah negli uffici della National Security. Dalle indagini, in questo ambito, spuntano i nomi del maggiore Magdi Sharif e del suo superiore, il colonnello Usham Helmy fino ad arrivare al generale Sabir Tareq.

Secondo quanto accertato l’apparecchiatura per la video sorveglianza era stata fornita a Abdallah dai servizi che alcune settimane prima, tramite un loro agente, Mhamoud Najem, avevano cercato di ottenere la copia del passaporto di Regeni tramite un suo coinquilino e il portiere dello stabile in cui abitava al Cairo. E in vista dei nuovi sviluppi è arrivato a Roma il consulente egiziano della famiglia Regeni.

Nei giorni scorsi ad esporsi in prima persona per commentare il congelamento dei rapporti tra i parlamenti dei due Paesi, deciso dal presidente della Camera Roberto Fico, è stato il segretario generale della Commissione Affari esteri del parlamento egiziano, Tarek El Khouly: «Trattiamo con gli altri paesi sulla base del principio di reciprocità. Non abbiamo nulla da nascondere e nulla da temere. Di conseguenza, di fronte a chi agisce in questa maniera nei nostri confronti non possiamo che agire nello stesso modo», ha detto il deputato bollando la decisione di sospendere i rapporti come «infelice e non giustificata» in quanto in Italia ci sono casi analoghi che non fanno scattare un boicottaggio da parte del Cairo. E il ministro degli Esteri Moavero ha anche convocato l’ambasciatore egiziano per «chiedere risultati concreti» e ha invocato al necessità di "concreti sviluppi investigativi».

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