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La Formula Uno saluta Fernando Alonso, il campione dal talento sprecato

Fernando Alonso ai tempi della Ferrari

E' come quando chiudi la pagina di un libro. Parole e immagini che ti hanno tenuto compagnia per un periodo e ti lasciano quella strana sensazione di portare via con sé emozioni, speranze e delusioni. Un po' come quando passi da un'età all'altra e senza farci tanto caso ti fermi a fare bilanci. E' così quando un campione lascia. Il suo saluto ci fa invecchiare d'un colpo.

Anche per Fernando Alonso è così. Ha segnato un'epoca, nulla da dire. Ha vinto battendo la Ferrari e Schumacher due volte, chapeau. Ha un coraggio, una caparbietà, una sicurezza di sé che difficilmente si riconoscono in quelli che restano, tutto vero.

Però dove finiscono i pregi iniziano esattamente i difetti. Ha vinto pochissimo per il talento che ha. Due mondiali sono troppo pochi per uno che, a parte gli ultimi 4 anni, ha guidato solo macchine vincenti. Ha battuto Schumacher ma ha sofferto Hamilton (alla sua prima stagione) ed è stato battuto da Vettel.

Non ha mai accettato la sconfitta. E questa forse è la più perfetta medaglia: da un lato mostra un carattere vincente, dall'altro una tendenza a sbagliare dentro e fuori la pista.

Due titoli mondiali, potevano essere almeno 5. Ne ha persi tre all'ultima curva, roba da non dormirci. Uno di sicuro sarebbe stato il suo capolavoro, anno 2012: una Ferrari che nei test pre-stagione era oltre un secondo più lenta della Red Bull, lui la portò ad avere un vantaggio dopo l'estate che era di oltre 40 punti. Sembrava fatta, poi le Lotus di Raikkonen e Grosjean lo eliminarono in due gare e spalancarono le porte a Vettel. Non doveva andare così. Ma fu l'inizio della fine di un matrimonio che fra Alonso e Maranello non ha mai funzionato. Non si amavano ma erano promessi sposi. Doveva arrivare, lo spagnolo, alla fine del 2006 ma Schumacher e Todt gli sbarrarono la strada preferendogli Raikkonen anche per via di alcune dichiarazioni molto dure contro la Ferrari.

Arrivò nel 2010, come ricompensa morale di aver collaborato a svelare la truffa dei progetti trafugati dalla McLaren nel 2007 per copiare la Ferrari. Nel 2010 la beffa più grande, il mondiale perso ad Abu Dhabi. Il 5 maggio automobilistico di ogni tifoso ferrarista.

Resta, in mezzo a queste due stagioni da incorniciare, quella valanga di dichiarazioni contro la Ferrari. Quel “siete degli scemi” urlato in diretta mondiale a Monza contro i suoi ingegneri, che davvero non si può perdonare neppure a distanza di anni. Perchè tradiscono, queste parole, un amore mai nato con il Cavallino, una voglia di sentirsi superiore al mito che a Maranello non è stata concessa a nessuno e che non tiene conto del significato che quel rosso ha per milioni di appassionati, disposti ad accettare una sconfitta (loro sì) ma mai una umiliazione.

E' così che Alonso è finito alla McLaren. Solo per questo ha imboccato la via in discesa che conduce a questa ultima gara di Abu Dhabi. E' per questo tratto incomprensibile del suo carattere, amplificato probabilmente dai consigli del manager Briatore, che si è sottratto a un confronto con i più grandi.

Perchè, diciamoci la verità, è davvero un peccato che nella sfida fra Vettel e Hamilton non ci sia stato spazio per Alonso. Ha negato, lui, lo spagnolo, una spettacolo che sarebbe stato il sale di questo sport. Per averne un'idea guardate su Youtube la partenza di Spa nel 2007, dal semaforo verde fino all'Eau Rouge: riconoscete quella voglia di stare davanti ad Hamiltona tutti i costi, anche quando una curva da 340 all'ora ti si para davanti. Davvero, un peccato che si debba andare indietro di 11 anni per riconoscere il vero Alonso. Quello che saluta oggi ha la stessa grinta ma si porta sulle spalle il peso di tutte le sue scelte sbagliate.

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