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Con un chip nel cervello l'uomo del futuro sarà bionico

Avere una memoria migliore, muovere un braccio robotico con il pensiero, vedere anche se si è ciechi. Sono alcune delle cose che in futuro potrebbero essere rese possibili da microchip impiantati nel cervello.

A guardare allo scenario avveniristico in cui l’uomo si trasforma in cyborg, cioè in un essere umano potenziato grazie alla tecnologia, è un dibattito organizzato dalla Maker Faire a Roma nell’ambito della rassegna cinematografica Brain+, che fino al 4 ottobre approfondirà il rapporto tra uomo, robotica e AI.

Spunto del confronto è il film «The Manchurian Candidate» di Jonathan Demme, in cui i protagonisti scoprono di avere un microchip impiantato nel corpo. A parlarne Fabio Babiloni, professore di Fisiologia e neuroscienze e di Bioingegneria elettronica alla Sapienza di Roma, e Fiorella Operto, fondatrice della Scuola di Robotica di Genova, insieme alla moderatrice Viviana Kasam, presidente di BrainCircleItalia.

La tecnologia in uso più avanzata è l’impianto cocleare, una sorta di orecchio artificiale elettronico che, grazie a un microchip, consente alle persone sorde di sentire, ha spiegato Babiloni. Ma la ricerca sta procedendo in modo spedito, ed è
riuscita a dimostrare, ad esempio, la possibilità di potenziare la memoria attraverso un chip collegato al cervello.

Tra gli ambiti allo studio c'è anche la possibilità di restituire la vista ai ciechi. L’intelligenza artificiale è infatti usata nel decoding cerebrale, anche se ancora con
risultati non perfetti, per ricostruire ciò che una persona ha visto. Operto ha evidenziato il forte sviluppo dei sistemi di «Brain-computer interface», cioè le interfacce neurali tra cervello e computer, particolarmente utili per le persone
disabili.

La ricerca ha documentato ad esempio la possibilità, per una persona tetraplegica, di muovere un braccio robotico grazie a un chip collegato al cervello che, in pratica, traduce il pensiero in movimento. «Ogni anno nel mondo 15 milioni di persone sono colpite da ictus, che porta all’impossibilità a muovere una parte del corpo», ha detto Oporto. Grazie alle interfacce neurali potrebbero riacquisire il movimento.

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