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La palermitana Laura Giordano al suo debutto ne "La Traviata": le foto dello spettacolo

La “nascita” di una Violetta è sempre un evento da celebrare con cura amorevole. Inevitabile punto di svolta della carriera di ogni soprano, l’eroina de “La Traviata” porta in sé il marchio dell’opinione più autorevole di tutte, quella di Verdi stesso:

«Non si può giudicare una cantante da quel ruolo, perché ogni mediocrità può avere le qualità per emergere, ed essere pessima in tutti gli altri».

La palermitana Laura Giordano è tutt’altro che una mediocrità, e alla sua prima “Traviata”, per giunta da sostituta dell’ultim’ora, è stata una Violetta per molti versi incantevole.

Al teatro Cilea di Reggio Calabria, il capolavoro verdiano scelto come primo evento lirico del Rhegium Opera Musica Festival – prolifica sinergia di associazioni private, con il sostegno del Comune – ha riscosso un enorme successo di pubblico, che dal punto di vista degli interpreti principali proprio la protagonista (e con lei il baritono) ha tutto sommato giustificato.

Quel che Verdi volle dire, è che la dumasiana signora delle camelie nell’opera sua è ruolo che si gioca su pathos e accenti, rilevanti al pari quasi della qualità del canto. La Giordano è belcantista eccelsa, e nella gamma infinita di registri emotivi percorsi dalla giovane cortigiana tisica, è costretta a compromessi su quello drammatico, che la trova svantaggiata in spessore e forza d’urto. Ma altri momenti l’hanno vista ispirata ed emozionante: su tutti, nel grande duetto del secondo atto, un “Dite alla giovine” in punta di voce, un sospiro in pianissimo che è stato il momento più alto della serata. Vissuto con accanto il baritono Salvatore Grigoli, un Germont troppo giovane ma di bellissimo timbro e ancor migliori intenzioni interpretative.

Quelle che invece non hanno sostenuto l’Alfredo del tenore Giuseppe Talamo, un innamorato vocalmente ruvido e di limitate virtù seduttive. Ma ogni Traviata è quello che è la sua eroina, e la Giordano ha tutto per iscriversi, in futuro, nel ristretto numero dei soprani in grado di “diventare” Violetta, oltre che cantarla.

Il resto del cast era quasi solo “made in Reggio”, ed è stata una festa. Reggini o comunque calabresi erano infatti i comprimari, molti membri del Coro Lirico “Cilea”: Gabriella Grassi (Flora), Ileana Morabito (Annina), Stefano Tanzillo (Gastone), Alessio Gatto Goldstein (Barone Douphol), Demetrio Marino (Marchese d’Obigny), Giuseppe Zema (Dottor Grenvil) e Marcello Siclari (Commissionario). Reggino per definizione era ovviamente il Coro in sé, diretto dal maestro Bruno Tirotta, un’istituzione ormai divenuta colonna e motore di ogni iniziativa musicale in città e non solo. Come tale è pure l’Orchestra del Teatro Francesco Cilea, un organismo autonomo, esempio del pari ammirevole di professionalità e autodeterminazione, nell’occasione diretta dalla giovane Manuela Ranno, molto attenta alla tenuta d’insieme, meno al palcoscenico e a una qualche riconoscibile traccia interpretativa.

Rimane da dire dell’allestimento, piuttosto semplice ed elegante, i cari vecchi fondali dipinti ma per nulla stucchevoli o polverosi, e comunque funzionali a regia e coreografie, rispettivamente curate da Andrea Merli e Sofia Lavinia Amisich. Applausi e fiori per tutti, come detto, in un teatro stracolmo: al “Cilea” di Reggio l’opera fai-da-te entusiasma. E funziona.

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