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Da un farmaco per la pressione alta un aiuto per curare il diabete

Un farmaco in uso per trattare la pressione alta, il "Verapamil", potrebbe divenire un prezioso alleato nella cura del diabete di tipo 1, una malattia autoimmune che porta a distruzione totale delle cellule che producono insulina (beta cellule): uno studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine, infatti, mostra che il Verapamil è capace di rallentare la progressione della malattia, "salvando" da morte certa le cellule beta ancora presenti nei pazienti con diagnosi recente. In questa maniera si presume che i pazienti che prendano Verapamil all'esordio del diabete possano avere una malattia meno grave e più facilmente gestibile anche con meno insulina.

 Condotto da diabetologi della University of Alabama a Birmingham, lo studio "offre spunti molto affascinanti, anche alla luce del possibile utilizzo di un farmaco molto noto, a diposizione da anni, e di cui si conoscono tutti i possibili effetti clinici", commenta Marco Giorgio Baroni, docente di Endocrinologia e Diabetologia presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università di Roma La Sapienza. Il diabete di tipo 1 (T1D) è una malattia autoimmunitaria: le beta-cellule che producono l'ormone (insulina) per regolare lo zucchero nel sangue (glicemia) vengono danneggiate dall'attacco del sistema immunitario del paziente. Questo diventa quindi dipendente da iniezioni di insulina per regolare la glicemia. Ad oggi mancano terapie in grado di bloccare o quanto meno rallentare questo attacco improprio del sistema immunitario e quindi di salvare le beta cellule. Il Verapamil potrebbe essere un buon candidato in questa direzione.

 I ricercatori americani lo hanno testato su 32 soggetti (di 18-44 anni) con diagnosi di diabete di tipo 1 da non più di 3 mesi e che presentavano ancora beta-cellule sfuggite all'attacco autoimmunitario. Gli esperti Usa hanno visto che somministrando Verapamil a questi soggetti, le beta cellule residue avevano salva la loro vita. Verapamil agisce impedendone la morte e riducendo l'infiammazione del tessuto beta-cellulare.
Il trattamento con Verapamil, rispetto a una sostanza placebo ha dimostrato di aumentare la presenza di beta cellule nei pazienti e di frenare l'aumento del fabbisogno insulinico (che si ha in genere nel periodo successivo alla diagnosi). Inoltre i pazienti trattati col farmaco vanno incontro a un minor numero di ipoglicemie (quando lo zucchero nel sangue è troppo poco, evento pericoloso per il cervello) e presentano un migliore controllo glicemico.

L'idea, spiega il diabetologo della Società Italiana di Diabetologia (SID), è di "somministrare Verapamil in soggetti che abbiano ancora una quota di beta-cellule residue, quindi presto alla diagnosi di diabete, ma al momento siamo nel campo della sperimentazione, per cui non sappiamo quando e soprattutto per quanto tempo dovrebbe essere dato il farmaco". "Sarà importante vedere i risultati del farmaco in studi clinici controllati su casistiche più grandi di pazienti - continua Baroni; in questo studio, comunque, si è visto che i soggetti trattati potevano assumere meno insulina e presentavano un migliore controllo glicemico, con meno ipoglicemie".
   

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