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La sfida di Trump alla Apple: "Producete negli Stati Uniti, non in Cina"

Donald Trump

Donald Trump sfida la Apple: «Ha paura dei dazi alla Cina? Allora produca negli Stati Uniti». La replica alle preoccupazioni della casa di Cupertino per la possibile nuova mossa della Casa Bianca contro Pechino arriva via Twitter, ed è destinata a creare un nuovo fronte tra il tycoon e big come Amazon, Google, Nike e Levìs. Due mondi, quelli da cui proviene il 're del mattonè di New York e quello delle multinazionali, che difficilmente si incontrano, soprattutto alla luce del dogma imperante dell’America First.

Così se l’azienda più ricca del mondo, la prima ad entrare nel club dei mille miliardi di dollari di capitalizzazione, denuncia la lista dei suoi prodotti i cui prezzi aumenteranno inevitabilmente, il tycoon prende la palla al balzo per ribadire uno dei concetti di fondo della sua filosofia: «C'è una facile soluzione che comporterebbe zero tasse e, anzi, incentivi fiscali. Fabbricate i vostri prodotti negli Stati Uniti invece che in Cina. Cominciate a costruire nuovi impianti ora. Emozionante!», scrive il presidente americano, che già in passato aveva espresso contrarietà al fatto che alcuni 'gioiellì della mela morsicata, a partire dagli iPhone, vengono assemblati nel paese asiatico. Ma se dovessero scattare le nuove tariffe su 200 miliardi di dollari di 'Made in Chinà, ha spiegato la Apple, a schizzare a danno dei consumatori sarebbero i prezzi di altri prodotti molto popolari come l’Apple Watch, gli AirPod, il Mac Mini e l’HomePod.

Del resto non è una novità che il numero uno di Cupertino, Tim Cook, sia contrario alla politica dei dazi che ritiene un approccio sbagliato e una vera e prorpia «tassa sui consumatori": quello che serve, ha più volte sottolineato il Ceo, è il dialogo. Ad alimentare le preoccupazioni inoltre anche il fatto che Trump ha minacciato dazi su altri 260 miliardi di dollari di beni importati dalla Cina oltre ai 200 miliardi che sarebbero già in arrivo. In pratica se l'amministrazione Usa passerà dalle parole ai fatti le tariffe copriranno tutti i prodotti provenienti dalla Cina, che ad oggi ammontano a 505 miliardi di dollari. Una mossa senza precedenti che rischiano di alimentare un’escalation dalle conseguenze imprevedibili nella guerra commerciale tra Washington e Pechino, nonchè tensioni sui mercati internazionali - avvertono alcuni osservatori - in grado di rallentare la crescita dell’economia globale.

Intanto, mentre Trump medita nuove azioni contro la Cina, la sua ossessione nelle ultime ore resta la caccia alla gola profonda del New York Times che ha svelato la presenza di una "resistenza silenziosa» all’interno dell’amministrazione che lavora per limitare i danni provocati dalle azioni del presidente. La rosa dei sospettati si restringe, e chi è vicino al tycoon lo descrive ancora fuori di sè. Intanto sul fronte del Russiagate arriva la prima irrisoria ma simbolica condanna: quella dell’ex assistente di Trump in campagna elettorale George Papadopoulos. Dovrà stare due settimane in carcere, lavorare ai servizi sociali e pagare 10 mila dollari di multa per aver mentito all’Fbi, quando nel 2016 negò di essersi incontrato con alcuni esponenti russi vicini al Cremlino. Con loro discusse anche l’eventualità di un viaggio a Mosca dell’allora candidato Trump e di un possibile incontro con Vladimir Putin.

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