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Giorgio Poi racconta Londra, tra pub e centri culturali

LONDRA - E’ nato a Novara, ha vissuto a Roma, è cresciuto artisticamente a Berlino e a Londra per poi trovare il successo al ritorno in Italia. Non bastasse, ora è in partenza per Los Angeles, dove dal 6 al 12 settembre aprirà i concerti dei Phoenix al Fonda Theatre. Giorgio Poi è uno dei ‘golden boy’ della musica italiana, uno di quelli che unendo scrittura sopra la media a sonorità pop è riuscito a ‘sdoganare’ il cosiddetto genere indie portandolo in vetta alle classifiche e nelle playlist radiofoniche. Il merito è di un disco pressoché perfetto (‘Fa Niente’, uscito nel 2017 per Bomba Dischi) e di una serie di collaborazioni di successo (con Luca Carboni, Carl Brave e Frah Quintale). Tra live club poco conosciuti, pub e centri polifunzionali come il Barbican, all’ANSA Giorgio Poi ha raccontato la sua Londra, città dove ha vissuto per molti anni, e nella quale, paradossalmente, ha riscoperto molti artisti italiani.

Hai vissuto a Novara, Lucca, Roma, Berlino, Londra e Bologna. Come mai hai scelto di parlarci proprio della capitale inglese? “Perché a Londra ho vissuto di più: ho fatto più cose, sono andato più in giro, ho studiato, ho lavorato, ho insegnato chitarra, ho imparato la lingua, ho iniziato a scrivere canzoni. E’ una città che mi ha cambiato, rendendo definitivi alcuni aspetti del mio carattere che forse altrove non sarebbero emersi”.
In Inghilterra, paradossalmente, hai riscoperto molta musica italiana. “Sì, è vero. Qualche settimana dopo il mio arrivo a Londra un amico mi porto’ “Colpa d’Alfredo” di Vasco Rossi, artista che fino a quel momento non mi aveva interessato. Eppure, l’emozione di tanti ascolti distratti delle sue canzoni mi ha raggiunto fin là, anni dopo, come il lampo col tuono. Dopo quel disco, a Londra ho iniziato a riascoltare Dalla, Piero Ciampi, Paolo Conte e molti altri”.
  Il tuo album ‘Fa Niente’ è stato pensato quando eri a Londra? “In realtà il disco è nato a Berlino, nell’ultimo anno in cui ho vissuto lì”
Portaci a fare un tour di Londra. Da dove partiresti? “Da Hackney Wick, dove ho abitato negli ultimi 3 anni a Londra. All’epoca era un luogo lugubre e malandato, una zona industriale dove non c’era nulla, solo un caffè, dove lavoravo come lava-piatti. Oggi è molto diverso: ci sono ristoranti, pizzerie, birrifici. E’ molto chic”.
  Quali sono gli altri luoghi dove porteresti i lettori dell’ANSA? “Innanzitutto il Barbican Centre, un edificio scavato dentro il caos della City con sale concerto, una bi-blioteca e decine di divani e poltrone sparse, a fianco al Conservatorio dove ho studiato. Ci sono andato tutti i giorni, per 3 anni di fila”
E poi? “ E poi The Wenlock Arms, il mio local pub, che poi ho scoperto essere un luogo di culto, famoso per le birre sempre diverse e oscure, frequentato solo da uomini, vecchi, paonazzi, dalle lingue gonfie e incomprensibili. Una volta andai anche a suonare con la band del pub, che faceva Dixieland, io suonavo il banjo. Il clarinet-tista, per dire, aveva visto Django Reinhardt live nel ’38”.
Se dovessi scegliere un luogo per andare a mangiare, dove ci porteresti? “Ci sveglieremmo tardi e andremmo a fare il Sunday roast al The Hemingway, un pub molto bello su Victoria Park Road. Lì però non ci faremmo fregare dal Sunday roast: ordineremmo il manzo alla Wellington”.
Tra i piccoli live club della città, quali erano i tuoi preferiti? “All’epoca c’era un posto che si chiamava Shunt, era dentro la metro di London Bridge ed era il mio club ma poi chiuse. Però c’era un altro posto che si chiama Bethnal Green Working Men’s Club, molto bello, e il Cafe Oto, che faceva spesso ottimi live”.
Dopo tanti anni all’estero, ora sei uno dei musicisti di riferimento della scena che tu stesso hai definito ‘Itpop’, la quale ha portato gente come Calcutta e Frah Quintale nelle playlist radiofoniche. Anche in Italia ‘l’indie’ sta diventando musica di larga diffusione? “Si. Ed è bello che le persone vadano a sentire i concerti, cosa che qualche anno fa non succedeva”.
A conferma che la tua vocazione è cosmopolita, negli ultimi mesi sei stato in tour con i Phoenix, per i quali ora aprirai alcuni live negli States. C’è la possibilità che nel prossimo disco qualche pezzo sia in inglese?
“Se la musica Italiana potrà in futuro interessare un pubblico internazionale questa dovrà necessariamente essere in italiano. Ho già scritto e cantato tanto in inglese, per me la novità è farlo in italiano: per il momento non credo che tornerò indietro”.
Stai già lavorando al nuovo album? “Ho qualche canzone pronta, quando tornerò da Los Angeles a metà Settembre inizierò a mettere insieme i pezzi e vedremo cosa verrà fuori”.
Info: https://www.facebook.com/sonogiorgiopoi
https://www.bombadischi.it/

 

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