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Tim Burton compie 60 anni, tutti i film del regista eterno bambino

Timothy Walter Burton, meglio noto come Tim Burton, compie 60 anni ed è probabile che l'ultimo ad accorgersi di essere sul punto di entrare nella terza parte della vita (la piena maturità) sia proprio lui.

Eterno bambino da sempre impegnato in una lunga e festosa battaglia con i suoi fantasmi mortiferi, Burton festeggerà forse nella sua casa londinese dove da anni vive nonostante si sia lasciato quattro anni fa con la sua musa e compagna, l’inglese Helena Bonham Carter, e lo farà in compagnia dei due figli (Billy Ray e Nell) avuti da Helena. La personalità di quello che ormai è considerato uno dei più grandi registi della sua generazione, il più giovane Leone d’Oro alla carriera (2007) resta un mistero.

Burton è lo spirito inquieto che da sempre si dedica alla celebrazione degli irregolari e degli spostati come nei suoi capolavori (da «Bettlejuice» a «Batman») o il devoto cantore della Hollywood minore, quella che portava al successo gli horror della casa di produzione inglese Hammer e che condannava all’oblio geni incompresi come il grande Bela Lugosi o il misconosciuto Ed Wood? O ancora l’inquieto disegnatore della Disney? Di certo è tutto questo insieme, un’anima in pena che solo nel cinema ricrea l’ambiente ideale in cui proiettarsi.

Burton nasce a Burbank, sobborgo di Hollywood dove hanno sede i magazzini e i teatri di posa della grandi produzioni americane; a 12 anni sceglie di andare a vivere con la nonna, a 16 vive da solo e si guadagna lo stipendio come disegnatore alla Disney mentre ancora studia disegno grazie a una borsa di studio.

Mostra un talento visivo fuori dal comune e nel 1979 è già a libro paga come animatore per «Red e Toby». Detesta però quel modo di lavorare ("non ne potevo più di disegnare tutte quelle bestioline ammiccanti, era una tortura") e preferisce dedicarsi alla creazione di un proprio immaginario, praticando l'uso della stop motion, resuscitando le atmosfere del cinema gotico e del film noir.

Il risultato è il cortometraggio «Vincent» del 1982 che lo segnala alla critica ma ottiene reazioni molto negative all'interno del mondo Disney per le atmosfere cupe e lo stile poco adatto ai piccoli spettatori. Protagonista è già un alter ego del regista, un bambino che fantastica sulle avventure horror e sul suo mito, Vincent Price che si presta come voce narrante.

«Vincent» gli vale come biglietto da visita per il debutto in tv con la rivisitazione in stile manga di «Hansel e Gretel» dai fratelli Grimm e due anni dopo la Disney finanzia il suo secondo corto. È «Frankenweenie» che più tardi Burton trasformerà anche in lungometraggio.

Ancora una volta la censura postuma della casa di produzione impedisce al regista di avere successo, ma lo smagliante bianco&nero della pellicola seduce Paul Reubens che nel 1985 lo sostiene nell’adattamento cinematografico del suo più grande successo, «Pee-wee's Big Adventure». A finanziare questa volta è la Warner Bros che, insieme alla Columbia e alla Disney, diventerà la casa-madre per le sue avventure.

L’ottimo successo (e il basso costo) della pellicola sono una garanzia per i produttori che si affidano a lui per il successivo «Beetlejuice» in cui appare per la prima volta uno degli attori preferiti dal regista, Michael Keaton. Del resto, fin dagli esordi, Burton ama circondarsi di una famiglia di fedelissimi, dal musicista Danny Elfman, allo scenografo Anton Furst, agli attori che ha reso celebri, primo tra tutti Johnny Depp che porterà al successo con «Edward mani di forbice» (1990).

Nel frattempo la Warner lo ha convinto alla trasposizione per il grande schermo del fumetto «Batman» per il quale Burton impone Keaton come protagonista (a fianco di Jack Nicholson) e corona un sogno (quello di unire il disegno col cinema) che però gli varrà una grave crisi depressiva per un film che non sente suo fino in fondo.

Tanto è vero che, chiamato a un sequel, accetterà solo con la garanzia di una totale libertà espressiva ma non riuscirà a raggiungere il trionfale risultato del film precedente. Con i successivi «Nightmare before Christmas» (scritto e prodotto ma non diretto perché impegnato con Batman) e «Ed Wood», Tim Burton dà probabilmente il meglio di sé esaurendo una parte della sua vena più originale e gotica ripresa poi ne «Il mistero di Sleepy Hollow» dopo la controversa parentesi comica di «Mars Attacks» (1996).

Da quel momento - se si esclude il molto personale e sorprendente «Big Fish» del 2003 - sembra un’anima errabonda tra i miti di Hollywood. Accetta controvoglia una rilettura de «Il pianeta delle scimmie» (2001), si tuffa nella letteratura per bambini di Roald Dahl con «La fabbrica di cioccolato» (2005), riprende la passione per l’animazione (il bellissimo «La sposa cadavere» nello stesso anno), si cimenta col musical «Sweeney Todd», 2007) e poi piega la sua fantasia gotica alle leggi della Disney per «Alice nel paese delle meraviglie» (2010).

Da allora alterna risultati controversi, riprende vecchi progetti («Frankenweenie» o «Miss Peregrine»), progetta un pericoloso remake di «Dumbo» atteso per l’anno prossimo, ma sembra sempre alla ricerca dell’ispirazione originale. Saranno i 60 anni il suo capo di Gibilterra, oltre il quale Tim Burton ritroverà la voglia di spingersi verso l'ignoto?

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