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Morandi, quel ponte di Genova costruito sulle case: le immagini dei piloni fra i palazzi

Trenta metri d’asfalto sono piantati in mezzo al Polcevera come un monolite preistorico piovuto all’improvviso dal cielo, proprio sotto il camion blu e verde della catena Basko fermo sull'orlo dell’abisso, a dieci metri dal punto che separa la vita dalla morte.

Attorno, due ruspe scavano con le benne tra i resti di tre tir da venti metri l'uno, accartocciati, spezzati: non ci crede più nessuno che tra quell'ammasso di lamiere, gomme e cavi imputriditi di gasolio possa esserci qualcuno ancora in vita ma è la speranza di trovarlo che ha spinto uomini che da tre giorni non si sono fermati mai a scavare ancora.

Genova è una città che ora guarda senza parole quello squarcio che si è aperto nel ventre di Sampierdarena. A poche centinaia di metri, verso il mare, c'è la zona dell’Italsider, dove c'era la cocheria e la gente apriva la finestra e toglieva la polvere di carbone. Dall’altro lato, verso la collina, Bolzaneto e i ricordi brutti del G8. In mezzo il Polcevera, l’unico torrente di Genova che non è stato tombato. Quando piove non è lui a preoccupare, ma il Fereggiano, che i suoi morti li già fatti, o il Bisagno.

Il ponte Morandi era lungo oltre un chilometro, con tre piloni di cemento armato a sostenerlo: son venuti giù più di duecento, trascinandosi appresso anche il pilone centrale. A guardarle ora, le travi di cemento spesse due metri spezzate e sbriciolate, con i tondini d’acciaio che spuntano contorti, vien da chiedersi come è stato possibile. Sul lato destro, quello che passa sopra la ferrovia, un intero pezzo di ponte lungo venti metri si è abbattuto tra i binari e una palazzina: là sotto c'è un cratere profondo 15 metri dove ci sono almeno una trentina di mezzi accartocciati.

A cinquanta metri di distanza, dall’altra parte della ferrovia, le case popolari di Sampierdarena sono state miracolosamente risparmiate. Condomini di cinque piani dove abitano centinaia di persone, italiani e immigrati. Marco è uno di quelli che vive sotto il ponte, alza gli occhi e guarda proprio sopra di lui il pezzo di cemento armato che è rimasto sospeso, attaccato ai tiranti d’acciaio. «Cosa ho sentito? Sembrava stesse crollando il mondo».

Sul lato sinistro del Polcevera c'è il 'Bic', il Business Innovation Center, un agglomerato di piccole imprese che in realtà non è mai decollato. L’ultima cosa che è rimasta in piedi è la 'Nuova neon Finetti: quando il ponte ha ceduto, il cemento ha risparmiato per pochi metri una delle più importanti aziende italiane, l’Ansaldo energia, abbattendosi sui capannoni della 'Fabbrica del Riciclo' e, soprattutto, del deposito dell’Amiu.

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