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Genova, "La strada dondolava, poi il crollo": il racconto di chi era sul ponte Morandi

Le immagini del crollo di un tratto del ponte Morandi, a Genova

C'è chi ringrazia 'gli angeli che mi hanno salvato i figli', chi ha smesso di fumare da 10 anni e chiede una sigaretta e chi ti guarda con gli occhi grandi di chi si è smarrito. «Siamo miracolati», dice Christian che con la macchina era sul ponte Morandi al momento del crollo. Non importa chiedergli di raccontarlo, perché lo fa di continuo con tutti come se parlare di quello che è successo lo aiutasse a superarlo.

Ma non è così: «Era in macchina a 100 metri dal punto del crollo quando ho sentito tremare la strada sotto di me - ha detto con un filo di voce - e allora mi sono spostato sulla corsia di sinistra. Ma non so dire perché l’ho fatto, l’ho fatto e basta. Poi ho visto il ponte che si sbriciolava».

Non parla di fulmini caduti né di bagliori, Christian ma di un «ponte che si sbriciola», che va giù all’improvviso. «Sono sceso dalla macchina e mi sono messo a correre più che potevo» perché «non riuscivo a capire cosa stesse succedendo». Hai sentito boati? «no no, solo il ponte che si sbriciola e che va giù». È quella l’immagine che resta negli occhi di Christian e di tutti quelli che erano in macchina quando il ponte è crollato. Una specie di armageddon.

«Una cosa da fine del mondo, eh?», dice Christian che sorride ma ha gli occhi velati. Si sforza di non piangere, di non crollare. Tieni duro Christian: «Sono un miracolato - ripete come un mantra -. Mi rendo conto adesso di cosa ho scampato. La strada dondolava tutta, io sono scappato». Correva, Christian, lasciandosi il mostro che crollava alle spalle: «urlavo: correte, correte» e tutti scappavano».

E sono vivi, adesso, «e la possiamo raccontare eh?». Lo choc è evidente, glielo si legge negli occhi quando volta lo sguardo verso il ponte amputato, col nero moncone proteso verso il nulla. «Cosa ho scampato - ripete - cosa ho scampato». Christian ha visto il grande camion bianco «in bilico. Poi è andato giù» e così arriva il momento della domanda più brutta.

Il ragazzo non si tiene più e ti chiede: «L'autista sarà morto. Ma ci son morti vero? quanti morti?». E non glielo dici per non farlo crollare. «Chissà quanti sono...». E ti pianta gli occhi addosso perché non ha coraggio di guardare di sotto dove il greto del Polcevera come un grande sarcofago tiene insieme contorte lamiere, auto schiacciate, i rossi elmetti dei vigili del fuoco e ancora, probabilmente, corpi delle vittime.

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