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Pubblica amministrazione, tempi lunghi per pagare le imprese: persi 30 miliardi

Tornano ad aumentare i tempi di pagamento della nostra Pa che 'privano' di 30 miliardi alle imprese. Lo segnala la Cgia la quale ricorda che dopo alcuni anni di progressiva diminuzione, dallo scorso gennaio ad oggi sono tornati a salire i tempi medi di pagamento della Pa.

Se nel 2017 il compenso veniva corrisposto dopo 95 giorni dall'emissione della fattura - contro i 30 stabiliti dalla normativa europea che possono salire a 60 per alcune tipologie di forniture, come quelle sanitarie - nell'anno in corso la media è salita a 104 giorni. Nessun altra pubblica amministrazione in Ue salda i debiti commerciali con tempi così lunghi.

Rispetto alla media europea, ad esempio, in Italia i ritardi sono superiori di oltre due mesi (precisamente 63 giorni). Se in Italia i giorni medi necessari riferiti al 2018 sono saliti a 104, in Spagna e in Francia ci vogliono rispettivamente 56 e 55 giorni per liquidare i fornitori. In Germania, invece, il dato è salito a 33 giorni, mentre nel Regno Unito si è attestato a 26.

"Gli enti pubblici - osserva Paolo Zabeo della Cgia - continuano a liquidare i propri fornitori con ritardi inammissibili, mettendo in seria difficoltà specie le imprese di piccola dimensione che, da sempre, sono sotto capitalizzate e a corto di liquidità. E sebbene da almeno 3 anni chi lavora per il pubblico ha l'obbligo di emettere la fattura elettronica, ancora adesso il sistema informatico messo a punto dal ministero dell'Economia non è in grado di stabilire a quanto ammonta complessivamente il debito commerciale della nostra Pa; una situazione surreale".

Nel dicembre scorso la Commissione europea ha deferito l'Italia alla Corte di Giustizia dell'Unione per il mancato rispetto delle disposizioni europee contro i ritardi di pagamento. Dagli ultimi dati della Banca d'Italia sul 2017, lo stock di debiti commerciali in capo alla Pa italiana sarebbe sceso da 64 a 57 miliardi. E in attesa che il ministero dell' Economia riesca a dimensionarli con esattezza, si stima, al netto della quota riconducibile ai ritardi fisiologici (ovvero entro i 30/60 giorni come previsto), che le imprese fornitrici vanterebbero circa 30 mld di crediti dalla Pa.

Dal 2015 ha fatto il suo "debutto" lo split payment che obbliga le amministrazioni centrali dello Stato (e dal 1 luglio 2017 anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l'Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all'erario. L'obiettivo era quello di evitare che una volta incassata l'Iva dal committente pubblico, le aziende fornitrici, che secondo Banca IFIS nel 2017 sono state circa 1 milione, non la versino al fisco.

Il meccanismo, sicuramente efficace nell'impedire che l'imprenditore disonesto non versi l'Iva all'erario, ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l' evasione, invece, nulla hanno a che vedere. Vale a dire la quasi totalità delle imprese. Stando alle informazioni rese note dalla Ragioneria Generale dello Stato, attualmente il ministero dell'Economia ha informazioni 'solo' sul 70% dell'importo complessivo saldato ogni anno dalla Pa che si aggira attorno ai 160 mld.

Pertanto, 48 mld di pagamenti ancora adesso non transitano attraverso la piattaforma informatica. Pur essendo costretti a imporre per legge la fattura elettronica ai propri fornitori, molti enti pubblici (almeno il 40% del totale) usano mandati di pagamento cartacei, non consentendo al ministero dell'Economia di certificare i ritardi e le somme non ancora liquidate. Tutto questo, stando alle disposizioni di legge previste nella legge di Bilancio 2017 e dai successivi decreti attuativi, dovrà cessare entro il prossimo 30 settembre; dal giorno successivo, infatti, tutta la Pa italiana (sanità inclusa) sarà obbligata a transitare sia in entrata sia in uscita attraverso la piattaforma Siope+.

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