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Curare i migranti, routine per l'88% dei medici italiani

 Per i medici italiani prendersi cura dei migranti non è più una novità: l'88% dà assistenza a cittadini stranieri, l'80% la considera parte dell'attività ordinaria di tutti i giorni. A far luce sull'impatto del fenomeno migratorio sulle professioni sanitarie è la prima rilevazione del genere mai realizzata in Italia, su un campione di 2.000 medici in tutte le regioni. L'indagine è stata promossa dall'Osservatorio internazionale per la salute (Ois) onlus. Dallo studio è emerso che i camici bianchi hanno assorbito da tempo l'assetto socio-culturale prodotto dalle presenza degli stranieri nelle comunità: il 59% dichiara di non sentirsi preoccupato per il futuro della professione, il 41% sì. Tra i più pessimisti i medici sardi, trentini e veneti (oltre il 60%).

I medici siciliani e calabresi, quelli in prima linea, che esprimono preoccupazione sono al di sotto della media nazionale: rispettivamente, il 35,6% e il 33,3%. Ma se per un verso è diventata una routine curare i migranti, permane invece tra i medici una sensazione di disagio nel far fronte a situazioni per le quali non ci sono risorse e strutture adeguate (comprese le barriere linguistiche che possono frenare la comunicazione): lo sottolinea comprensibilmente il 71% dei medici siciliani. Ma la percentuale più alta, l'81%, riguarda le Marche. In Calabria, altra regione in prima linea, ne parla il 55,2% degli intervistati. "Questa informazione - interpreta Ois - conferma che a esprimere i maggiori timori sono paradossalmente proprio coloro che hanno meno esperienza diretta del fenomeno".

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