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Governo, la difficile quadra degli ex Masaniello

Prima il no di Matteo, poi il sì di Silvio. Il primo governo a genesi populista della storia della Repubblica nasce con le due vecchie (non si offenda Renzi) volpi della politica italiana impegnate prima di tutto a condizionare e determinare il flusso definitivo delle scelte, per poi accomodarsi comodi comodi sulla riva del fiume. Il secco no del non-segretario-ma-leader Dem ha bloccato l’innaturale matrimonio d’interesse M5S-Pd; il benevolo fate vobis del Cavaliere ha battezzato l’alchemica convergenza (parallela?) fra Di Maio e Salvini. A questi ultimi due ora si chiede di svestire i panni dei Masaniello dell’italico arco parlamentare, per indossare quelli di garanti della Costituzione e dei 60 milioni di italiani raggruppati sotto il suo ombrello. Senza bisogno di giurare sui Vangeli o di affidarsi agli stregoni della rete.

Con la Ue che adesso comincia a puntare preoccupata l’attenzione sugli sviluppi di questa strana alleanza - fra un Grillo che invoca referendum sull’Euro, una Lega che vorrebbe cancellare Maastricht e Mattarella impegnato a ricordare a tutti che «pensare di farcela senza l'Europa significa ingannare i cittadini» – toccherà adesso ai due gemelli diversi trovare una quadra che appare francamente complicata.

Intendiamoci: come sosteniamo da sempre, capriole, giravolte, ribaltoni e dietrofront in politica avvengono con una facilità e una rapidità che hanno smesso di meravigliare. Derubricate fra sorrisini e spallucce l’ultima virata di Di Maio («Mai posto veti su Berlusconi») e l’elastico di Salvini (centrodestra unito, centrodestra disciolto), ci aspettiamo di tutto. Intanto le 24 ore chieste a Mattarella sono diventate 24+72. Un week end lungo per provare a comporre il puzzle del governo, a cominciare dal nome del premier, fino all’ultimo dei ministri. Tutti politici o politicamente etichettabili, si presume, vista la assoluta idiosincrasia giallo-verde verso tecnici e figure terze.

Poi i programmi. E siamo in attesa di conoscere gli acrobatici contorsionismi sulle due sponde, fra chi vuole dar corpo al mantra del reddito di cittadinanza e chi vorrebbe spugnare i dettami salva Inps della Fornero. Non mancano – vivaddio – punti di contatto, a cominciare da una auspicabile maggiore attenzione ai temi della sicurezza, ivi compresa una politica di gestione dell’immigrazione più accorta e meno supina alle inedie europee. Di certo, è soprattutto sui temi economici che si giocano le sorti di questa alleanza e con essa del Paese intero. Mattarella – capace di dosare le parole ma altrettanto capace di dar loro peso e sostanza – ha avvertito sui rischi di un cincischiamento ulteriore in materia di programmazione finanziaria, che spingerebbe l’Italia nel baratro dell’aumento Iva. Primo importante – anzi fondamentale – esame che il governo dovrà superare presto e puntando al massimo dei voti. Si parla tanto, per esempio, di detassazione per le imprese: aspettiamo il passaggio dalle parole ai fatti.

Rimane, ultima ma non ultima, una questione meridionale ancora irrisolta. Lungi dal voler cavalcare i congeniti vittimismi di chi guarda su verso Roma con lo sguardo contrito da presunti soprusi e angherie e nel frattempo si culla fra malaffari, clientele, connivenze, speculazioni e incapacità assortite, non possiamo certo negare che un’attenzione maggiore alle realtà economiche e sociali del Mezzogiorno sia dovuta.

L’Istat non manca di ricordarci che nel Paese un milione di famiglie non hanno al proprio interno neanche una persona che lavora: di queste, 600 mila vivono nel Mezzogiorno. Né, sempre l’Istat, omette di sottolineare che in Italia il 6% delle famiglie vive in povertà assoluta, media alla quale contribuisce soprattutto il Sud, che da solo supera l’8,5%. Davanti a questo scenario, bisognerà capire quanto la Lega vorrà e saprà ora dimostrare che aver fatto sparire il «Nord» dal suo simbolo non sia stata solo una speculare manovra acchiappavoti. E, al contempo, come il Movimento Cinque Stelle si prepari a (e sia capace di) dare risposte concrete ed efficaci al suo bacino elettorale primario, che è appunto quello meridionale, dove ha pescato a piene mani nell’insoddisfazione e nella disillusione degli elettori attivi (nessuno, neanche i populisti anti-sistema oggi partiti di governo, è riuscito a scalfire il robusto monolite dell’astensionismo cronico). Al Nord la Lega ha ridotto Forza Italia al ruolo di comprimario, al Sud i Pentastellati hanno modificato al rialzo le percentuali democristiane degli anni d’oro dello Scudocrociato. Ovunque il Pd si è fatto male da solo, ma questa è altra storia.

Ora ci si prepara a nuovi manovratori sul battello Italia. Scorrerà nelle acque tumultuose di un fiume sulle rive del quale si sono appunto accomodati Renzi e Berlusconi: un ritorno immediato alle urne li avrebbe acciaccati ancora di più. Le sorti dell’inedito governo che sta per nascere potrebbero alla lunga giovare all’appeal futuro delle loro scorticate brigate. Questi però sono solo interessi politici di parte. Che speriamo non si consumino sul destino di un’Italia che ora deve rimettersi a navigare con una rotta precisa: 68, più chissà quanti altri ancora, giorni dopo quel fatidico 4 marzo.

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