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Renzi chiude: mai un Governo con M5s, Di Maio: ecco i punti in comune col Pd

Matteo Renzi e Luigi Di Maio

Matteo Renzi ribadisce il suo "No" a un governo con M5s, mentre Maurizio Martina prova a mediare tanto da evocare una consultazione della base per ratificare un’intesa. Il Pd torna nel caos. L'area più vicina all'ex segretario dice no a un accordo di governo, sì - al massimo - ad un incontro con i Cinquestelle. Mentre un'altra parte è al lavoro in queste ore per evitare una spaccatura in direzione che rischia di far male ai Dem e suggerisce a Matteo Renzi di lasciare che Martina vada a vedere le carte del M5s.

Intanto, Luigi Di Maio fa un appello al Pd tracciando i "punti in comune" in una lunga lettera al Corriere della sera. Dal lavoro alla povertà, dall’immigrazione alle tasse. «Sono fiducioso, sulla carta dei programmi ci sono tanti punti di convergenza». E spiega che sul contratto si possono definire tempi e obiettivi. Di Maio si sofferma tra l’altro sulla revisione del regolamento di Dublino, sul salario minimo, su tasse e sanità pubblica, giustizia e costi della politica. «Un capitolo a parte - aggiunge - riguarda la legge sul conflitto di interessi che il Paese aspetta da troppi anni». E spiega: «Se si può fare qualcosa di buono per l’Italia e mettere finalmente i cittadini al primo posto, noi ci siamo».

Le varie aree del Pd sono in attesa di quello che Matteo Renzi dirà questa sera in tv da Fabio Fazio, quando romperà il silenzio che si era autoimposto dopo la disfatta del 4 marzo. Ma alla vigilia fa trapelare con toni lapidari la sua netta contrarietà al confronto con Luigi Di Maio e la convinzione che un governo tra Dem e pentastellati sarebbe una «presa in giro degli elettori».

Con parole che, nota un esponente martiniano, non sono lontane da quelle pronunciate al riguardo da Salvini. Renzi, sintetizza chi gli è vicino, è contrario a trattare: poi Martina, aggiungono le stesse fonti, farà quello che crede. Una chiara presa di distanza, che però nei giorni del gelo lascia uno residuo di speranza ai «governisti» del partito.

Per provare a stemperare un clima assai avvelenato, Martina precisa che la direzione del partito non deciderà se «fare o non fare un governo con i Cinque Stelle, ma se iniziare un confronto, entrare nel merito delle questioni, capire se ci possono essere punti d’intesa». Quindi, solo se la direzione darà il suo via libera al dialogo, Martina immagina forme di consultazione interna, in cui magari coinvolgere anche amministratori, militanti o semplici elettori. Più di un dirigente renziano è però persuaso che lo stesso reggente stia ormai conducendo una partita di posizionamento interno, che non ha più a che fare con il governo. E riguarda il dopo, la guida del partito su cui si dovrà decidere in assemblea e l’eventuale congresso. Martina, dice più d’uno, si è però già giocato le sue chance di una conferma gestendo «assai male» la vicenda governo.

Ma perché non si arrivi già giovedì in direzione a una conta che rischierebbe di 'sfiduciare' il reggente e inasprire le divergenze tra le aree del partito, i «moderati» renziani premono perché la direzione approvi un documento che dia mandato a verificare se ci sono le condizioni minime per un dialogo con i Cinque stelle. In quel documento bisognerebbe alzare l'asticella, ponendo alla base i cento punti del programma.

Presentarsi al tavolo con Di Maio e chiedere: accetti la Buona scuola e il Jobs act? Sei pronto a votare lo ius soli? Condizioni «capestro», le considera qualche «governista». Condizioni indispensabili, secondo i renziani, che sono pronti a chiedere anche lo stop alla leadership di Di Maio.

L’alternativa è che il no al dialogo arrivi con un documento alternativo, che ricalchi il documento della precedente direzione, che collocava il Pd all’opposizione. E’ questa la linea che i «pasdaran» suggeriscono a Renzi, nell’attesa di sentire domani sera cosa dirà in tv. Nel frattempo Martina non nasconde la sua grande preoccupazione rispetto alle possibili vie d’uscita da questa fase di stallo, cioè un governo «con Salvini come socio di riferimento», o una «precipitazione al voto anticipato nei prossimi mesi».
Il voto è uno scenario che spaventa il Pd. Ma su un’intesa con i Cinque stelle la base è in subbuglio: il Pd romano lancia un appello manifesto in rete per dire un secco no ad un governo con M5s, con parole sottoscritte da decine di iscritti e dirigenti.

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