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Governo, Di Maio convince i "suoi": M5s compatto sull'intesa col Pd. Renzi prende tempo

Matteo Renzi e Luigi Di Maio

ROMA. Sul dialogo col Pd per la formazione del nuovo governo, il Movimento 5 stelle appare compatto. Dopo l'incontro con Di Maio, che ha spiegato le ragioni dell'apertura ai dem, l’assemblea dei gruppi parlamentari del movimento ha dato il via libera alla nuova fase intrapresa dal loro leader.

«È stato un bagno di realpolitick», commenta un parlamentare uscendo e spiegando che i vertici del movimento si sono soffermati molto sui temi cari al M5s che un contratto di programma potrebbe portare alla realizzazione: dal reddito di cittadinanza a un abbassamento della pressione fiscale per i più deboli fino al miglioramento di alcuni aspetti del Jobs act. «L'importante è capire che noi non diciamo via il Jobs act ma riduciamo la precarietà del lavoro così come il Pd non dovrà dire che tutto quanto fatto dal precedente governo andava bene», hanno spiegato i 5 Stelle.

Un applauso dell’assemblea Luigi Di Maio l’ha inoltre ottenuto nel momento in cui ha citato Silvio Berlusconi e la richiesta del M5s di porre fine al conflitto di interessi.
Durante l’assemblea è stata anche avanzata l’idea di affidare ad alcuni professori la spiegazione di quello che dovrà essere il contratto di programma. Non ci sarà una votazione preventiva ma solo una volta che i punti saranno definiti nel contratto e nel frattempo i vari passaggi e le finalità verranno spiegati nel dettaglio con dei post sul blog.

Se i Cinquestelle appaiono uniti e compatti, lo stesso non può dirsi del Partito Democratico, che sull'ipotesi di avviare un'intesa con i grillini ha ancora parecchi indecisi. Il primo a dire un "no" fermo è stato proprio Matteo Renzi. L’ex segretario resta convinto che non ci siano margini per un governo con Luigi Di Maio e i Dem a lui più vicini esprimono la sua irritazione per aver sentito Roberto Fico dire al Quirinale che un dialogo è aperto. Ma i governisti Dem sperano di convincerlo alla fine a sedersi al tavolo. Intanto l’ex premier per ora prende tempo, spostando la data della direzione più in là di quanto avrebbe voluto Martina (segretario reggente del partito), al 3 maggio. Non solo il sospetto del Pd - smentito ufficialmente dal M5s ma non da alcuni deputati pentastellati - è che il forno con la Lega si riaccenda. Ma lo scorrere dei giorni serve anche a chiudere la finestra del 9 maggio, l’ultima utile per il voto a giugno, uno spauracchio che può pesare sulle scelte dei Dem, peones e non.

Martina incontra Andrea Marcucci, Graziano Delrio e Matteo Orfini negli uffici di Delrio a Montecitorio, prima di andare a colloquio con Fico. Ed è lì che si arriva alla mediazione, condivisa al telefono da Renzi, che svelenisce il clima: si riconosce tutti il risultato di aver indotto Di Maio, almeno ufficialmente, a chiudere alla Lega, e ci si accorda sulla data della direzione. Nessuna pressione, assicurano i Dem, da parte del Colle: ci si prende una settimana per il dibattito interno e poi il 3 si deciderà se andare a vedere le carte di Di Maio.

L’ottimismo dichiarato da Fico al Colle, concordano anche i più moderati, è eccessivo. «Abbiamo dialogato tramite esploratore, come da correttezza istituzionale, ma decide la direzione se faremo il confronto», commenta Graziano Delrio. E i «pasdaran» del «no» tengono alta la guardia: i renziani sono pronti alla conta in direzione e si riservano, se servirà, di far emergere quel «no» anche nella discussione dei senatori, convocati il 2 maggio in assemblea con altro ordine del giorno.

In extremis, si sbilancia un dirigente renziano, l’ex premier potrebbe anche dare l’ok al tavolo con il M5s. A patto però che il confronto parta dai 100 punti elettorali del Pd «e non dai tre indicati da Martina al Quirinale». Se il tavolo portasse a un accordo, poi - dicono fonti martiniane - si potrebbe decidere di ratificarlo in assemblea nazionale o con un referendum tra gli iscritti. Ma per ora è «fantascienza», secondo i renziani. Lo avete sentito Di Maio dopo l’incontro con Fico? Ci chiede discontinuità su quanto fatto dai nostri governi. E loda Martina - nota un dirigente - mentre critica le parole dei renziani: vuole dividerci. È una chiusura, altro che dialogo aperto».

Se il reggente Martina (che si gioca anche il suo ruolo nel partito) fallirà l’impresa di convincere Renzi, per il M5s resterebbe la possibilità di rispolverare, ma non prima del 3 maggio, il dialogo con Matteo Salvini. Ma il leader della Lega non sembra mollare il centrodestra. E allora resterebbe, dice il M5s, solo il voto. Uno scenario che, è consapevole Di Maio, non fa dormire sonni tranquilli al Pd.

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