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Governo, accordo con M5s? Il Pd diviso. Renzi: "La base non lo vuole"

Matteo Renzi con il segretario del Pd di Firenze Massimiliano Piccioli (S)

ROMA. Vuole che ogni decisione sul dialogo con M5s passi dai gruppi e dalla direzione Pd, Matteo Renzi. Perché emerga con chiarezza che la scelta non è di uno solo. Ma chi lo sente nella giornata del 25 aprile, racconta che i tanti "no" raccolti tra la gente di Firenze a un accordo di governo con Di Maio avrebbero rafforzato nell'ex segretario il convincimento che margini non ce ne siano.

Nel pomeriggio Renzi risponde al telefono a Maurizio Martina, con cui da qualche giorno si erano interrotte le comunicazioni. Non ha intenzione, assicura, di ritirare le dimissioni da segretario, come chiede Antonello Giacomelli. Ma sul governo le posizioni tra reggente ed ex leader sembrano ancora distanti. Martina vorrebbe un mandato a trattare, ma i renziani si preparano alla conta.

La convocazione di Roberto Fico per un secondo colloquio di oggi viene vissuto dai pasdaran del "no" come un ulteriore tentativo di fare pressione sul Pd, perché apra. Così come viene mal digerito lo spauracchio delle urne e il fatto che Martina evochi "non poche possibilità di voto a ottobre". Certo, il fronte renziano in questa fase è variegato: si registrano toni diversi tra chi, come Matteo Orfini, si mostra più intransigente e chi, come Graziano Delrio, più sensibile alla responsabilità di aprire un confronto nel merito. E finché Renzi non prende posizione pubblicamente, il fronte "governista" guidato da Martina e Franceschini continua a sperare di ingrossare le proprie fila e ottenere un mandato ad aprire una trattativa. Ma i due 'partiti' stanno entrando in rotta di collisione: il rischio vero se si andrà alla conta in direzione, afferma un dirigente 'moderato' vicino all'ex leader, è una frattura in due del Pd. E tra i duri c'è chi mette in conto una scissione dei renziani per un nuovo progetto.

Di sicuro se si andrà alla conta e prevarrà il "no" al dialogo, secondo i renziani più duri, la prima conseguenza sarebbe una "sfiducia" a Martina, che si è già giocato, aggiungono, ogni chance di essere eletto segretario in assemblea, quando si farà. Ma il reggente assicura che sedersi al tavolo non vuol dire fare l'accordo: "Il percorso è stretto, non so se ce la faremo, ma io penso si debba sfidare il M5s. Abbiamo bisogno di tempo, non si fa in quattro e quattr'otto". Ma i suoi toni battaglieri, l'intenzione di "combattere" e "provarci fino in fondo", non convincono i pasdaran renziani, che lo accusano di forzare. "Sia Renzi a guidare il partito in questo confronto, non resti defilato", si spinge a chiedere Giacomelli, invocando il ritiro delle sue dimissioni. Ma questa possibilità l'ex leader per ora la esclude: il suo orizzonte, spiega un renziano, è un'evoluzione Pd sullo scacchiere europeo, in asse con Macron.

La data della direzione non è ancora fissata: dovrebbe essere il 2 maggio ma si deciderà domani sera, in base al percorso indicato da Mattarella, al quale i Dem, attraverso Fico, faranno pervenire la richiesta di più tempo. Andrea Marcucci fa sapere che il gruppo del Senato si riunirà il 2 maggio e anche i deputati dovrebbero essere convocati da Delrio per la prossima settimana.

Un tentativo di anticipare la conta della direzione, sospettano i "governisti", secondo i quali gli equilibri stanno cambiando. Al contrario, replicano i renziani: emergerà che il "no" è la linea prevalente, tra i senatori sarebbero 35 su 54.

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