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Ergastolo all'inventore che uccise una giornalista sul suo sommergibile e la fece a pezzi

Peter Madsen

COPENAGHEN. In Danimarca è oggi giunto all’epilogo il macabro 'giallo del sommergibile': un tribunale di Copenhagen ha giudicato l’inventore danese Peter Madsen colpevole di aver stuprato e ucciso la giornalista Kim Wall, e di averne poi massacrato il cadavere, sezionandolo in numerosi pezzi che ha infine gettato in mare. Un verdetto che arriva assieme ad una condanna all’ergastolo.

«La valutazione della Corte è che l’imputato ha ucciso Kim Well», ha affermato il giudice Annette Burkoe, aggiungendo che "stiamo parlando di un cinico assalto sessuale, premeditato, e di un brutale assassinio di una donna che per il suo lavoro giornalistico aveva accettato un’offerta di una uscita in mare sul sottomarino dell’imputato».

La verità processuale che ha portato al verdetto presenta però ancora diversi lati oscuri, soprattutto a causa delle numerose versioni e ritrattazioni formulate dall’imputato durante tutto il corso dell’istruttoria. Ad esempio, ancora non si sa con certezza come la vittima sia stata uccisa. Di certo si sa che Kim Well, che aveva 30 anni, fu vista viva l’ultima volta la mattina dell’11 agosto scorso assieme al ricco e quanto meno eccentrico inventore Peter Madsen, che aveva deciso di concederle un’intervista a bordo del sommergibile di sua invenzione e costruzione, battezzato, senza troppa fantasia 'Nautilus'.

Di fantasia, tuttavia, per quanto malata, Madsen, che ha 47 anni, deve averne. Agli inquirenti ha prima detto di aver sbarcato la vittima mentre era ancora in vita. Poi ha affermato che Well era morta accidentalmente, cadendo e sbattendo la testa. Poi che che era morta asfissiata, a causa di un guasto a bordo. Quando la polizia ha cominciato a trovare i pezzi del corpo della vittima, prima il torso, con gli organi sessuali brutalmente trafitti da innumerevoli coltellate, poi la testa mozzata, e poi ancora altre parti, rinchiuse in sacchetti di plastica, Madsen ha infine anche ammesso di avere fatto a pezzi il cadavere, ma ha sempre negato di averla uccisa.

Al processo, il pubblico ministero Jakob Buch-Jepsen ha sostenuto che ci sono sospetti che l’imputato abbia «tendenze psicopatiche» e ha presentato una collezione trovata in suo possesso che comprende oltre 100 filmati, vignette e testi in cui vengono descritte donne assassinate o torturate. Anche la notte prima della morte di Well, scrive la Cnn online, Madsen ha scaricato sul suo telefono cellulare un video in cui veniva ripresa una ragazza con la gola tagliata.

Poco prima della lettura della sentenza, a Madsen è stato chiesto se volesse fare una ultima dichiarazione. La risposta è stata: «mi dispiace di quanto è successo». Non una parola per la giovane giornalista freelance uccisa, che nella sua ancora breve carriera, dopo essersi diplomata alla Columbia University e alla London School of Economics, aveva visto i suoi articoli pubblicati su diversi importanti giornali, come il New York Times, il Guardian o Time magazine.

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