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Zevi in mostra tra storia e controstoria

ROMA - "L'autentica architettura, quella del futuro, ma anche del presente e del passato, concerne, plasma, inventa lo spazio vivibile, umano, lo 'spazio' in sé a servizio dell'individuo e della comunità". Così, citando Frank Lloyd Wright, Bruno Zevi (1918-2000) riassumeva il senso della 'sua' architettura, quella che progettava, ma anche quella che con instancabile vocazione studiava, sosteneva, criticava, cercava in ogni di modo di diffondere.

Al suo multiforme lavoro di storico, docente, progettista, politico, broadcaster radio-tv, nel centenario della nascita, il Maxxi dedica 'Gli architetti di Zevi. Storia e controstoria dell'architettura italiana 1944-2000', personale a cura di Pippo Ciorra e Jean-Louis Cohen, realizzata con la Fondazione Zevi, che fino al 16 settembre, per la prima volta, corre sul doppio binario della sua biografia e dei progetti, tutti realizzati, di 38 tra gli architetti che Zevi promuoveva, da Carlo Scarpa a Pier Luigi Nervi, Renzo Piano, Franco Albini, Piero Sartogo o Maurizio Sacripanti. "Un omaggio doveroso a un grande intellettuale" e alla sua "ostinata difesa dei valori liberal-democratici", spiega la presidente della Fondazione Maxxi, Giovanna Melandri, che "getta una luce diversa sulla storia dell'architettura". Ma "non una mostra 'su' Zevi - precisa Ada Chiara Zevi, presidente della Fondazione Zevi - Il cuore qui sono le sue scelte critiche e progettuali".

Nato ebreo nella Roma post prima guerra mondiale, in fuga dalle leggi razziali a Londra e negli Usa (ma sempre impegnato in prima linea per riportare la democrazia in Italia), tornato nel '44, membro mai pentito del Partito d'azione, fondatore dell'Associazione per l'architettura organica e dell'Istituto Nazionale di Architettura, autore del primo libro di storia dell'architettura moderna, firma de L'Espresso, socialista e deputato radicale, per tutta la vita Zevi combatté contro la separazione tra urbanistica e architettura, contro il post-modernismo e le visioni troppo accademiche. Sempre portando le sue battaglie dentro l'architettura. "Sarebbe stato facile raccogliere tutti i suoi 'contro', ma abbiamo preferito proporre uno Zevi positivo", racconta Jean-Louis Cohen. Anzi, a sua insaputa, aggiunge Ciorra, "è lui il curatore postumo della mostra".

Sue sono infatti le didascalie, sue le scelte degli architetti, sua la voce (e le immagini) che guidano attraverso le opere in arrivo da oltre 30 archivi pubblici e privati. Allestita come uno studio, con tavoli, mensole e librerie, la mostra parte dagli incontri cardine della sua vita, Wright in primis ma poi Adriano Olivetti, Ludovico Ragghianti, Lionello Venturi; poi la sua visione 'eretica' della città moderna, la vocazione del comunicare, il focus sulle mostre epocali che curò tra il '56 e il '64 su Biagio Rossetti, Michelangelo e Brunelleschi anti-classico. E poi i progetti sostenuti in oltre 50 anni di critica. C'è tutta la grande edilizia dell'Italia del dopoguerra, come il Ponte sul Basento realizzato a Potenza tra il 1967 e il 1976 da Sergio Musmeci, il Padiglione del Venezuela alla Biennale del '53 di Carlo Scarpa, l'edificio polifunzionale in via Campania a Roma di Lucio Passarelli, gli immensi volumi della Cartiera Burgo di Mantova realizzata da Pier Luigi Nervi, e il Monumento ai martiri delle Fosse Ardeatine di Mario Fiorentino, la Chiesa sull'Autostrada di Giovanni Michelucci.

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