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L'Accademia della Crusca striglia il Miur: "Abbandono dell'italiano, troppi termini inglesi"

FIRENZE. L’Accademia della Crusca striglia il ministero dell’'Istruzione. Nel mirino dei linguisti c'è un documento in particolare: il Sillabo programmatico, pubblicato a marzo e dedicato alla promozione dell’imprenditorialità nelle scuole statali secondarie di secondo grado. Secondo i professori del team dell’Accademia Incipit, specializzato nella «lotta» al dilagare dell’anglicismo facile nell’uso della lingua, sostanzialmente, il documento testimonia l’«abbandono dell’italiano», da parte del Miur, in favore di un «sovrabbondante e non di rado inutile» ricorso all’inglese.

Un giudizio che il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli respinge al mittente: «Non capisco, sinceramente, da quali documenti o atti del Miur ricaviate la presunta volontà ministeriale di 'promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana'», risponde in una lunga nota.

Eppure in una severa analisi del testo, i linguisti non esitano a parlare di «meccanica applicazione di un insieme concettuale anglicizzante, a fronte di un italiano volutamente limitato nelle sue prerogative basilari di lingua intesa quale strumento di comunicazione e di conoscenza».

«Più che un’educazione all’imprenditorialità, sembra promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana e delle sue risorse nei programmi formativi delle forze imprenditoriali del futuro - bocciano i linguisti - pare una sorta di contraffazione paradigmatica della cultura e del patrimonio italiano: è così che si vogliono promuovere e valorizzare le eccellenze italiane, il «Made in Italy»?

«È sbagliato, secondo me, porre in alternativa l’italiano - il cui valore va non solo difeso, ma anche consolidato e promosso, come ha fatto il Ministero che ho avuto in quest’ultimo anno e mezzo l’onore di guidare - e l’inglese, che ritengo debba diventare lingua obbligatoria fin dalla scuola dell’infanzia, insegnato da docenti madrelingua», risponde agli accademici la titolare del dicastero.

Il ministro Fedeli sottolinea che nel Sillabo «la presenza di alcuni termini inglesi, all’interno di un documento di 11 pagine e composto da 3.124 parole, difficilmente potrebbe sorreggere un intero modello linguistico-concettuale».

Ribadisce come «l'utilizzo di termini stranieri si rivela funzionalmente necessario quando il «prestito» consente una funzione designativa del tutto inequivoca, specie se si accompagna all’introduzione di nuove «cose», nuovi «concetti» e delle relative parole». Ma è proprio l’uso «sovrabbondante» di questo «prestito» che la Crusca stigmatizza nel Sillabo.

A leggere il testo, spiegano i linguisti, pare che «per imparare a essere imprenditori non occorra saper lavorare in gruppo, bensì conoscere le leggi del team building; non serva progettare, ma occorra conoscere il design thinking, essere esperti in business model canvas e adottare un approccio che sappia sfruttare la open innovation, senza peraltro dimenticare di comunicare le proprie idee con adeguati pitch deck e pitch day». Per questo gli accademici dell’istituto culturale fiorentino rinunciano a proporre traduzioni per gli anglicismi usati (per farlo, "sarebbe necessario tradurre l’intero documento», dicono), scegliendo invece di lanciare un appello al Miur: «si usi maggiore rispetto nei confronti della lingua e della cultura italiana», invocano i professori.

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