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Si stringe il cerchio intorno alla particella di Majorana

I primi 'battiti' dell'esperimento Cuore nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'Istituto nazionale di Fisica Nucleare (Infn) stringono il cerchio intorno al neutrino di Majorana, l'ambigua particella che sarebbe anche l'antiparticella di sé stessa: i risultati sperimentali ottenuti nei primi due mesi di attività, pubblicati sulla rivista Physical Review Letters, vincolano in modo sempre più preciso la tempistica con cui dovrebbe avvenire il processo fisico che potrà dimostrare la vera natura dell'elusivo neutrino, cruciale per spiegare l'asimmetria tra materia e antimateria nell'Universo e aprire una nuova finestra oltre la teoria di riferimento della fisica delle particelle elementari, il Modello Standard.

Il modo più promettente per verificare l'esistenza della particella ipotizzata da Majorana poco primadella sua scomparsa consiste nell'indagare il fenomeno che avviene quando, all'interno dell'atomo, due neutroni si trasformano in due protoni, emettendo due elettroni e due antineutrini: chiamato doppio decadimento beta, il processo sarebbe possibile anche senza l'emissione di neutrini, proprio a causa dell'ipotetica coincidenza tra neutrino e antineutrino.

"Osservare questo fenomeno è come cercare un ago nel pagliaio", spiega il responsabile scientifico dell'esperimento CUORE, Oliviero Cremonesi, dell'Infn. "Quando si cerca un processo di cui non è certa l'esistenza, i contorni della ricerca non sono ben definiti: per questo allestiamo esperimenti sempre più sensibili, in modo che la probabilità di osservarlo diventi sempre più alta".

In base ai primi risultati di CUORE (Cryogenic Underground Observatory for Rare Events), i fisici hanno stimato che un singolo atomo di tellurio dovrebbe dar vita ad un doppio decadimento beta senza (anti)neutrini all'incirca una volta ogni 10 settilioni di anni, cioè un numero di anni pari 1 seguito da 25 zeri. "Per questo stiamo osservando un numero ancora superiore di atomi, in modo da avere una probabilità finita che uno di essi possa decadere nel tempo in cui lo teniamo sotto osservazione", spiega Cremonesi. "Entro i prossimi cinque anni dovremmo vederne almeno cinque: se ciò non accadrà, dovremo rimandare tutto ad un altro esperimento più sensibile".

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