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Salvini sfida Di Maio e il Pd chiude a M5s: è impasse governo

ROMA. «Oggi ci siamo scritti e vedrò Di Maio prima delle consultazioni ma dire "io io io" non è il miglior modo di dialogare. Gli servono 90 voti. Da solo dove va?», dice Matteo Salvini. «Vuole fare il governo con i 50 voti del Pd di Renzi in accordo con Berlusconi? Auguri!», ribatte Luigi Di Maio. Prosegue così la schermaglia tra i due protagonisti della partita per il governo. Sullo sfondo, il nodo di chi sarà il premier: «Non farò il ministro di Di Maio», dice Salvini. Ma il capo M5s su Palazzo Chigi non sembra transigere. E un possibile nome terzo, non si vede all’orizzonte.

Le consultazioni al Quirinale inizieranno mercoledì 4 aprile. Ma il primo giro rischia di andare a vuot . Perché la via di un’intesa giallo-verde è irta di ostacoli, a partire dalla volontà di Salvini di includere Forza Italia. Il M5s prova a rilanciare la propria iniziativa convocando già per domani un incontro «sui programmi» dei capigruppo di tutti i partiti. Ma il Pd, corteggiato dai grillini e agitato dalle sue divisioni, si tira fuori: «Non avranno i nostri voti», dice Matteo Renzi.

Anche Salvini, che in serata tiene un comizio a Venafro in vista delle elezioni molisane, prova a spingere sull'acceleratore: «O parte un governo o si va subito al voto. Non ci sto a tirare a campare, discutere per un anno di legge elettorale sarebbe devastante». Il leader della Lega assicura che il centrodestra è «granitico», anche se al primo giro di consultazioni ognuno si presenterà per proprio conto. E aggiunge che con il M5s «c'è un dialogo": un governo è possibile. I Cinque stelle proseguono in realtà un corteggiamento sotto traccia al Pd. Ma Salvini, che fa sapere che non accetterebbe un incarico «al buio» senza avere prima un accordo, mostra di non crederci: «Voglio veder Di Maio trovare 90 voti in giro che si convincono...». Il leader della Lega esclude un esecutivo con i Dem, ma assicura che M5s non ha l’esclusiva dei contatti: «Sento tutti i pezzi del Pd».

L’accenno di Salvini ai «pezzi» del Pd non è casuale, perché dietro l’unità sulla linea dell’opposizione, il partito democratico sembra diviso in due, tra renziani e orfiniani che rifiutano ogni dialogo e il correntone «governista» che non vuole l’Aventino. Ma per consentire a un governo M5s di nascere servirebbero un centinaio di voti e tutti i parlamentari Dem dovrebbero dire sì alla fiducia, mentre per un esecutivo del centrodestra basterebbe il sostegno esterno di una cinquantina di deputati Pd. Ecco perché Di Maio alla provocazione di Salvini risponde: «Vuole fare il governo con i 50 voti del Pd di Renzi? Auguri!».

«I voti del Pd non sono a disposizione. Decidiamo noi», replica il capogruppo Graziano Delrio. E nel giorno in cui i Dem lamentano di essere stati tagliati fuori da M5s e Lega dagli incarichi negli uffici di presidenza di Camera e Senato, tutto il partito tiene la linea. «Opposizione», ripete come un mantra Matteo Renzi, che sottoscrive le parole di Matteo Orfini, che a Di Maio su Twitter risponde: «Scusate se interrompo il corteggiamento, ma il Pd starà all’opposizione». In serata, infine, è il reggente Maurizio Martina a tirare per ora fuori il partito, rispondendo picche all’invito dei capigruppo M5s a un confronto sui programmi: «Non parteciperemo, attendiamo con rispetto le consultazioni del Quirinale».

Lo fanno «per ripicca», ribattono i capogruppo M5s Giulia Grillo e Danilo Toninelli, che domani in mattinata riceveranno i presidenti dei gruppi Fi e Lega. I Cinque stelle sperano di dipanare la matassa governo a partire dai programmi. L’incontro difficilmente sarà risolutivo ma l’assenza del Pd al tavolo potrebbe indicare la via maestra: un accordo M5s-centrodestra.

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