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I cinque anni di Papa Francesco, tra riforme e messaggi per la povertà

L'elezioni di Papa Francesco

CITTA' DEL VATICANO. Cinque anni con Papa Francesco. Domani, infatti, sarà l'anniversario dell'elezione di Bergoglio a pontefice, nel conclave riunito dopo le clamorose dimissioni del suo predecessore Benedetto XVI. Cinque anni trascorsi tra riforme, messaggi di invito alla povertà e anche a dover affrontare le difficoltà attuali della Chiesa e le resistenze al cambiamento.

Diventato Papa in uno dei momenti di maggior crisi nella storia della Chiesa moderna, dopo la rinuncia del predecessore - primo Pontefice a dimettersi da sei secoli a questa parte -, Jorge Mario Bergoglio ha raccolto la sfida 'riformatrice' lanciatagli nel marzo 2013 dalle congregazioni pre-Conclave, ma intendendo sempre la sua spinta al rinnovamento della Chiesa su due binari paralleli: da una parte la riforma delle strutture, Curia romana e uffici economici in primis, per renderli strumenti al servizio della Chiesa diffusa nei cinque continenti, e non autoreferenziali cittadelle del potere, o peggio ancora 'centrali' di scandali; dall’altra la riforma 'interiore', quella del ritorno allo spirito evangelico, la «conversione pastorale» professata nel suo manifesto Evangelii Gaudium di una Chiesa non più arroccata nella difesa di principi inossidabili nel mondo secolarizzato, ma «in uscita», aperta alle periferie, "ospedale da campo" pronto a chinarsi sulle sofferenze e le ferite dell’umanità e del creato.

Con al centro il tema della «misericordia», cruciale per l’annuncio cristiano ma non così coltivato nel magistero dei Papi precedenti: che per Francesco diventa invece una vera bussola, per una Chiesa che non sia più una roccaforte di "doganieri della fede", inclini alla condanna e all’esclusione, e per un atteggiamento che non sia quello fiscale di chi è attento solo alla legge, e che porta il Papa a privilegiare, alla difesa dei principi, la difesa delle persone. Come si vede nel suo documento sulla famiglia, la Amoris Laetitia, dove Bergoglio tenta la via su cui si sono fermati i suoi predecessori, di riammettere, attraverso il "discernimento" (categoria squisitamente gesuitica), i divorziati risposati ai sacramenti.

Si può dire con certezza che quello di Francesco - i cui fari restano Papi come Giovanni XXIII e Paolo VI, da lui entrambi fatti santi - sia un ritorno alla radicalità del Concilio, dopo due papati che in qualche modo ne avevano attenuato e frenato le conseguenze. E questo in tutti i campi: nella vicinanza prioritaria ai poveri e ai migranti, nel rapporto con le altre confessioni cristiane e le altre religioni come l’ebraismo e l'Islam, nello spogliarsi di ogni segno e manifestazione del potere, nella crescente e ancora in itinere 'decentralizzazione' della Chiesa, sempre più universale e «sinodale» e sempre meno romanocentrica.

Tutti aspetti, questi, che hanno finito per attirare all’attuale Papa, in questi cinque anni, resistenze e attacchi che non hanno praticamente paragone rispetto ai suoi predecessori. Un anti-bergoglismo militante che trova espressione sia nei numerosi blog, siti, testate tradizionaliste, con una pressione sistematica e un’ostinazione che alla lunga - nonostante il dichiarato disinteresse del Pontefice - una qualche delegittimazione la producono (si pensi solo ai «dubia» dei quattro cardinali sull'Amoris Laetitia e alle accuse addirittura di eresia). Sia in un’opposizione e una resistenza passiva all’interno della stessa Curia e nel Collegio cardinalizio, che già oggi fanno interrogare su quale sarà il lascito e quanto resterà dell’opera innovatrice del Pontefice argentino.

Al quale, tra l’altro, non hanno giovato alcuni incidenti di percorso, all’inizio causati anche dalla scarsa conoscenza dell’ambiente romano. Come ad esempio l’aver nominato nella Commissione per la riforma delle finanze (Cosea) personaggi come mons. Lucio Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui, poi finiti sotto processo e condannati con l’accusa di aver passato documenti alla stampa (il caso Vatileaks 2). O come il revisore generale Libeto Milone, repentinamente defenestrato con l’accusa di crearsi dossier su prelati di Curia. O come lo stesso cardinale George Pell, messo a capo dell’economia vaticana, per poi dover ritornare in Australia a difendersi in un processo per abusi sessuali.

Un capitolo, quello della gestione della piaga della pedofilia, che rischia di non portar bene allo stesso Bergoglio, recentemente bersagliato dalle polemiche nel suo viaggio in Cile per la difesa del vescovo Juan Barros, osteggiato in patria per i sospetti su coperture e complicità. Una sfida, insomma, quella del primo Papa col nome del santo d’Assisi, ancora tutta da giocare.

Oggi sul Giornale di Sicilia in edicola uno speciale di 4 pagine.

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