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Ruskin, nell'800 lanciò allarme Venezia

VENEZIA - Un omaggio a John Ruskin (1819-1900), un letterato inglese che "viveva di utopie", una "voce fuori dal coro", un uomo che a metà '800 "vede già il futuro", che per primo lanciò l'allarme per la conservazione di una Venezia allora fatiscente, meta di ben undici viaggi dal 1835 al 1888, aprendo la strada alla "coscienza civile della tutela e del restauro". Gabriella Belli, direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia, sa che la mostra, che prende il titolo dal libro più noto dello studioso inglese, Le pietre di Venezia, allestita a Palazzo Ducale, dal 10 marzo al 10 giugno (catalogo Marsilio), non può essere racchiusa nel solo presentare il Ruskin artista, attraverso oltre cento acquerelli su carta. In una città che fa ogni giorni i conti con la sua salvaguardia, certo in forme diverse da quelle del XIX secolo dove non esisteva il turismo di massa, il "ritorno a Venezia" di Ruskin, di un intellettuale che ha contribuito a costruirne il mito sull'onda di Byron, ha un valore che interroga il presente. Un senso di urgenza che richiama l'immagine di Ruskin che usa ogni tecnica e strumento - tipo il dagherrotipo - per cogliere quei tratti sublimi di una città dove riscopre il gotico, rispetto alle mode che guardano al Rinascimento, che ai suoi occhi sembra destinata a scomparire. "La velocità con cui Venezia se ne va - scrive - è pressapoco quella di una zolletta di zucchero nel tè bollente". La curatrice, Anna Ottani Cavina, indica che la mostra su Ruskin al Ducale, quel "cuore gotico" scandagliato da mille angolazioni diverse dallo studioso, vuole essere "un monito per la salvezza di Venezia". Nel contempo, però, l'esposizione pone l'accento su uno dei tanti "lati", quello artistico, di un genio versatile che ha saputo lasciare un segno a partire dai suoi libri sull'arte. "Lo sguardo colorato di Ruskin - scrive Ottani Cavina - sarà una rivelazione per il pubblico italiano, poiché è lui il più grande acquarellista dell'epoca vittoriana". Il percorso lungo le sale dell'appartamento del Doge - aperto da un intervento scenografico di Pier Luigi Pizzi nel Museo dell'Opera dove c'è un capitello che Ruskin amava - si snoda così partendo da una visione "privata" dello scrittore e critico inglese, con alcuni autoritratti, foto e dipinti che lo ritraggono, i volti di Rose La Touche, la fanciulla che sperava di sposare dopo il divorzio ma che morì a soli 27 anni. Poi c'è spazio per le amate Alpi, per le alghe, le foglie, colte nei minimi dettagli - "se sai dipingere una foglia, sai dipingere il mondo" - o l'accostamento con tre magnifici dipinti di una Venezia appena abbozzata di Turner, artista che era il suo mito, ma non certo nella resa compositiva, tutta centrata sulla descrizione, sul dettaglio, sulla realtà. Poi arrivano i monumenti veneziani, irrompe Piazza San Marco e il suo Palazzo dei Dogi. "Vorrei - dice Ruskin - disegnare tutta San Marco, pietra dopo pietra, mangiarla con la mia mente, un tocco dopo l'altro".

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