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Pd, Zingaretti pronto a scendere in campo ma è scontro sulle primarie

ROMA. Nicola Zingaretti, forte della vittoria nel Lazio con 300mila voti in più del Pd, è pronto a scendere in campo per la guida del Pd post-Renzi. La nuova era partirà lunedì quando in direzione il vicesegretario Maurizio Martina ufficializzerà le dimissioni dell’ex premier e cercherà una tregua aprendo ad una gestione condivisa del partito nei prossimi passaggi, dall’elezione dei capigruppo alle consultazioni al Quirinale. Una tregua che però si annuncia armata in vista dell’assemblea di metà aprile: i renziani puntano ad eleggere lì un nuovo leader, e il candidato più accreditato è Graziano Delrio, fino al 2021 mentre la minoranza preferirebbe prendere tempo con un reggente a tempo così da preparare candidature alternative come Zingaretti stesso.

Da anni la candidatura del governatore del Lazio, come espressione della sinistra dem e ora in chiave di riunificazione con gli ex di LeU, era rimasta confinata ai retroscena giornalistici, puntualmente smentiti dall’interessato. Oggi invece il governatore fa un passo avanti: «Io ci sarò, anche alle primarie non escludo nulla», annuncia. Raccogliendo subito l'appoggio di Sergio Chiamparino, anche lui pronto a candidarsi, e di Andrea Orlando. «Credo che - sostiene il Guardasigilli - per il Pd questa sia una buona notizia».

Ma, al netto delle candidature, lunedì si comincerà a capire se le varie correnti hanno davvero intenzione di lavorare insieme o continuare a farsi la guerra. In una direzione unitaria prova a lavorare Maurizio Martina che, con l’addio ufficiale di Renzi, prenderà le redini del partito. Il vero test di tenuta di un Pd già lacerato dalla sconfitta sarà, però, l'elezione dei capigruppo. E l’aria che tira, con una conta sui numeri dei gruppi parlamentari, non fa ben sperare. Il conteggio viene aggiornato ogni giorno. Al Senato con 57 eletti, dei quali 45 iscritti al Pd, i renziani accreditano la presenza di 38 senatori vicini al segretario uscente mentre secondo altre fonti sarebbero tra i 23 e i 25. Alla Camera il conteggio si fa più complicato: secondo i renziani sarebbero 79 i deputati d’area mentre secondo la minoranza i renziani di stretta osservanza sarebbero in tutto una cinquantina.

Alle consultazioni salirà Martina con i neo-capigruppo e al momento il 90 per cento del partito sembra compatto sul no a intese sia con M5s sia con il centrodestra. In parallelo si aprirà la trattativa sul congresso: subito o a scadenza naturale nel 2021. Subito significherebbe che l’assemblea eleggerebbe a metà aprile il nuovo segretario e qui in pochi sarebbero già pronti a scendere in campo: Zingaretti, per dire, dovrebbe conciliare il ruolo con la fresca elezione mentre Carlo Calenda, che oggi ha incontrato gli iscritti del suo circolo di Roma Centro invitando i dem a smettere di «autoflagellarsi», non avrebbe le carte in regola. Certo il ministro nega a spron battuto tentazioni di leadership ma in molti non ci credono.

I renziani, invece, un nome ce l’hanno subito: Graziano Delrio, considerato sì un renziano ma dialogante. La minoranza, invece, vorrebbe un accordo interno per scegliere in assemblea un reggente, magari lo stesso Martina, che duri fino al 2019 per poi fare le primarie e schierare un proprio candidato. «E' un ipotesi che non è contemplata dallo Statuto che indica nel 2021 la scadenza naturale del mandato», tagliano corto i fedelissimi dell’ex premier.

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