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Stipendi dell'Ars, botta e risposta tra il segretario generale dell'Ars e don Scordato

PALERMO. «Stiamo cercando di introdurre limiti stipendiali a contratti in corso preoccupandoci di contemperare le esigenze di solidarietà e contenimento della spesa con i diritti dei lavoratori». Lo scrive in una lettera il segretario generale dell’Ars Fabrizio Scimè inviata a padre Cosimo Scordato, parroco di San Francesco Saverio di Palermo, uno dei sacerdoti che è intervenuto sulla vicenda dei tetti agli stipendi dell’Ars, scrivendo una lettera pubblicata dal Giornale di Sicilia nella quale stigmatizzava le cifre alte percepite dai dirigenti in un periodo di crisi e di aumento della povertà.

Scimè parla di un «pubblico processo condotto a mezzo stampa, una specie di mediatico autodafé» in cui gli uffici dell’Ars risultano «colpevoli di non fare mai abbastanza. È necessaria maggiore cautela nell’affrontare questo argomento».

«Non ho il piacere di conoscerla - scrive Scimè - ma so che lei è impegnato, in uno dei quartieri più poveri e difficili di Palermo, in una meritoria opera di lotta alla povertà. Capisco quindi bene il motivo per cui lei ha deciso di dedicare la sua attenzione alla vicenda che riguarda gli stipendi dei dipendenti dell’Assemblea».

«Mi rendo ben conto - prosegue Scimè - dello stridente contrasto tra la povertà che lei sperimenta ogni giorno e la ricchezza del Palazzo. E con me se ne rendono conto i dipendenti dell’Assemblea, tanto che proprio in questi giorni siamo impegnati in una delicata trattativa per introdurre nuovi limiti stipendiali. Capisco che lei, per il ruolo che svolge, possa e debba invitare tutti noi al senso di responsabilità».

Nella polemica interviene anche il presidente dell'Ars Gianfranco Miccichè e rivolgendosi a don Scordato scrive: "Vorrei ricordarle che qui non scherza nessuno e che ci sono persone che si stanno riducendo le retribuzioni autonomamente, senza alcuna legge che lo imponga". "In nessun'altra parte d'Italia si stanno riducendo gli stipendi come all'Ars", conclude Miccichè. Il riferimento riguarda Camera e Senato, dove circa duemila burocrati da gennaio e fino a quando non si insedierà il nuovo Parlamento avranno stipendi pari al doppio dei tetti stabiliti dall'Assemblea regionale siciliana.

Non si fa attendere la risposta firmata da don Cosimo Scordato e don Francesco Romano, che sottolineano di aver solo evidenziato nella loro lettera "che l’orientamento a togliere il tetto degli stipendi (già enormi!), manifestato fin dall’inizio, ci era parso non opportuno, se non addirittura scandaloso, a fronte di una situazione socio-economica che pone la Sicilia all’ultimo posto a livello europeo. Che cosa abbia portato la Sicilia a questa situazione disastrosa richiederebbe analisi lunghe e approfondite; ma a noi era parso inopportuno che si parlasse di ‘merito’ per giustificare l’innalzamento degli stipendi se i risultati conseguiti sono stati: disoccupazione altissima, disservizi nella sanità, fuga dei giovani, un povero ogni cinque persone, fenomeno crescente dei senza casa…"

Sul tentativo di limitare il tetto degli stipendi sottolineano: "Non possiamo che apprezzare questo orientamento ‘politico’; anche se (ma volentieri gradiremmo di essere smentiti), abbiamo l’impressione che i sindacati di categoria vogliano fare rientrare dalla finestra quello che fanno uscire dalla porta; infatti si è parlato di varie indennità, di straordinari per turni serali, notturni, festivi, che potrebbero fare sforare i tetti degli stipendi".

Sui contratti di lavoro, ritenuto "il punto più delicato" arriva invece l'appello affinchè vengano omologati a quelli di altre regioni italiane.

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