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Diabete, 3,7 milioni i malati ma 7 milioni a rischio di svilupparlo

Di diabete in Italia soffrono 3,7 milioni di persone, ma c'è un altro milione che è malato senza saperlo, più 7 milioni sono in condizioni di prediabete, cioè a rischio di sviluppare la malattia per alcuni fattori, quali familiarità, l'uso di alcuni farmaci o avere la sindrome metabolica. Un esercito destinato ad ingrossarsi, visto che la malattia compare sempre prima, come hanno denunciato i diabetologi, presentando a Milano la campagna "Hai il diabete? C'è una buona notizia per te".
    Scopo dell'iniziativa, patrocinata dalla Società italiana di diabetologia (Sid), dall'Associazione medici diabetologi (Amd) e dalle rispettive fondazioni di ricerca, è presentare le regole per una migliore prevenzione e stile di vita, e le innovazioni per semplificare la vita quotidiana dei malati sul sito www.novitadiabete.it. Un'esigenza, quest'ultima, molto sentita, perché il diabete inizia sempre prima. Secondo i dati dell'ultimo Rapporto Arno, il 35% dei pazienti, pari a circa un milione, è in età lavorativa, ha tra i 20 e i 64 anni di età e il 2% ha meno di 20 anni.
    "Per tutte le persone attive socialmente e professionalmente - commenta Giorgio Sesti, presidente della Sid - il diabete è un limite importante, a volte anche motivo di discriminazione sul posto di lavoro. I datori di lavoro, specie se si tratta di attività non sedentarie, considerano le persone con diabete poco affidabili". E anche a scuola, continua Sesti, molti "insegnanti hanno problemi a gestire o riconoscere i segnali di una crisi ipoglicemica nei bambini e negli adolescenti". Per via degli scorretti stili di vita, aggiunge Domenico Mannino, presidente dell'Amd, "stiamo assistendo a un numero crescente di casi di diabete tipo 2 in persone sempre più giovani, soprattutto nelle città". Avere il diabete sempre più giovani ha dei costi sociali ed economici. "Ci si sente diversi dagli altri per le limitazioni e le assenze dal lavoro - conclude Mannino - Un diabetico è più soggetto a ricoveri in ospedale, che durano più tempo, quindi con costi maggiori per il sistema sanitario".
    (ANSA).
   

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