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Fino a quando?

Mario Francese

Ce lo aspettavamo. Ne eravamo certi. I mistificatori di professione avrebbero guardato al dito e non alla luna. E ci avrebbero accusati di aver chiesto la «censura» sulla fiction dedicata a Mario Francese, perché preoccupati che tutti sapessero la «verità».

Due falsità in un colpo solo. Le ennesime. Davanti alle quali abbiamo deciso non tacere più. Ieri su questo giornale abbiamo spiegato, riteniamo in maniera talmente semplice da apparire quasi didascalica, i motivi per i quali ci siamo opposti alla messa in onda della fiction «così come mostrata in anteprima». Una fiction per la quale, abbiamo spiegato in maniera talmente semplice da apparire quasi didascalica, avevamo concesso subito le autorizzazioni dovute per l’utilizzo di materiale riconducibile a questo giornale (il logo, gli articoli, eccetera), perché convinti del fatto che si facesse così luce in maniera chiara e senza speculazioni su quella tragica vicenda.

Ebbene, i mistificatori hanno rigirato le cose a modo loro. Quella fiction romanza e favoleggia, in modo approssimativo, grossolano e caricaturale, vicende che meriterebbero ben altro stile e ben altre ricostruzioni, che non siano quelle demagogiche e strumentali che sono state invece adottate. Sulla base - oracolano i predicatori dell’antimafia da tastiera - di atti processuali. Ebbene, al di là delle sterili ostentazioni sul numero di pagina dove andare a cercare e del susseguirsi di interrogativi senza risposta, dove sono le sentenze che certificano in maniera ineludibile le «responsabilità» di questo giornale? Dove? Quanta gente di questo giornale, dal suo editore all’ultimo dei cronisti, è stata condannata per responsabilità connesse alla tragica morte di Mario Francese, cronista assassinato per il coraggio delle sue inchieste giornalistiche pubblicate da questo quotidiano?

Vogliamo la verità su Mario Francese, ci illudevamo che una fiction la ricostruisse. Ci siamo sbagliati. Vogliamo la verità su Mario Francese. La scrivano i giudici. Indagando anche su di noi, ovviamente. Non qualche filmetto televisivo. Ci era sembrato di essere stati semplici, quasi didascalici. E invece leggiamo con rammarico che anche il sindacato dei giornalisti, che pure dovrebbe avere a cuore veridicità, attendibilità e credibilità delle notizie diffuse, si schiera contro una presunta censura che nessuno qui ha preteso - abbiamo già spiegato perché - e invece a favore di una ricostruzione suffragata non da sentenze giudiziarie ma da teoremi dibattimentali.

Per questo ribadiamo che, non credendo nell’ignoranza di certi censori della morale, restiamo più che mai convinti della loro artata e preconcetta malafede. Manifestatasi peraltro ancora ieri sulle pagine di Repubblica e in un post su facebook dello sceneggiatore Claudio Fava. Vogliamo rassicurare gli autori di questi teoremi: a questo giornale il silenzio non piace affatto. Né ci piace che vengano citate altre presunte circostanze che nulla hanno a che vedere col caso Francese, per avvalorare ipotetiche teorie secondo cui il Giornale di Sicilia avrebbe avuto sempre atteggiamenti ostili nei confronti dei magistrati e del loro lavoro.

 

Talmente ostili, diciamo noi, che… non ci risultano ancora ad oggi un avviso di garanzia, una chiusura di indagine, un’imputazione, una condanna a nostro carico. Attendiamo. E, rassicuriamo loro e tutta l’accolita dei depositari delle «verità» extragiudiziarie, attenderemo senza quel silenzio che a loro invece piacerebbe parecchio.

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