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L'arte precolombiana torna a Venezia

VENEZIA - "Nella mia vita non ho mai visto cose che mi riempissero di gioia come questi oggetti". Sono passati meno di 30 anni dalla scoperta delle Indie da parte di Cristoforo Colombo, ma le parole di Albrecht Durer, nel settembre 1520, sono uno dei segni della meraviglia dell'Europa, del vecchio continente, davanti alla scoperta del nuovo mondo. Un incontro di culture, di civiltà, in un mondo che non c'era per l'occidente, destinato, secondo l'antropologo Claude Levi-Strauss, ad essere forse l'evento più importante nella storia dell'umanità. A dare testimonianza di quel mondo che non c'era, come titola significativamente la mostra, la ricca esposizione con 150 opere dell'arte precolombiana della Collezione Liguabue, presenti a Palazzo Loredan, sede dell'Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, a Venezia, dal 12 gennaio al 30 giugno prossimo. ''Con questa mostra e il catalogo che l'accompagna - spiega Inti Ligabue, figlio dell'imprenditore-antropologo veneziano al quale è intitolata la Fondazione promotrice dell'evento - ho cercato di raccontare le storie delle culture di un altro continente che ci ha affiancato per millenni, senza farsi conoscere''. Storie a cui l'Europa, e il mondo tutto, devono tanto anche sul piano alimentare: dal granoturco al cacao, solo per citare due alimenti. Per lunghi secoli, fino alla fine dell'Ottocento, i tesori dell'antica Mesoamerica e del Sudamerica sono stati visti soprattutto attraverso le tonnellate di oro e argento giunte a bordo dei galeoni; poi le avanguardie artistiche adottarono dei manufatti. La mostra lagunare permette di ammirare la bellezza di rare maschere in pietra di Teotihucan, la più grande città della Mesoamerica, i vasi Maya d'epoca classica, le statuette antropoforme della cultura Olmeca, care ai surrealisti o a Frida Kahlo, le sculture Mezcala. Ma il 'viaggio' d'incontro con le civiltà che per qualche millennio hanno segnato la storia del continente 'nuovo', si muove anche attraverso gioielli, opere tessili, monili, libri e mappe, con l'aiuto per il visitatore di supporti elettronici. Perché il fine dell'esposizione, curata da Jacques Blazy, come ha ricordato Inti Ligabue allargando il concetto alla ragione stessa della Fondazione, è fare ricerca per conoscere e far conoscere.
   

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