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Brexit, trovato un accordo: il divorzio dall'Ue costerà circa 50 miliardi

LONDRA. Accordo a portata di mano sul cruciale punto uno della partita per la Brexit: quello sul conto del divorzio tra Londra e Bruxelles. Ad annunciarlo è stato il Daily Telegraph, giornale britannico filo-conservatore ed euroscettico, citando fonti di prima mano su entrambi i lati della barricata. Poi la notizia è stata confermata anche dal Financial Times.

Al momento si tratterebbe di «un’intesa di massima», in attesa di conferme ufficiali, soprattutto da Bruxelles, che per ora si è limitata ad un laconico 'no comment'. I mercati sembrano però crederci, con la sterlina in volata che si è spinta sopra quota 1,33 dollari.

Stando alla versione del Telegraph, l’Ue avrebbe abbassato le pretese dai 60 miliardi di euro richiesti all’inizio ad una cifra compresa fra 45 e 55 miliardi. Non proprio una somma precisa, ma il segno di un 'mercanteggiamento' ormai agli sgoccioli. Per l’Ft, invece, Londra avrebbe accettato "responsabilità fino a 100 miliardi di euro", ma punterebbe a pagarne «meno della metà».

Decisiva sembra sia stata l’ultima sessione di colloqui, guidati per parte britannica dal capo negoziatore 'tecnico', Oliver Robbins, passato di recente dall’incarico di numero due del ministro politico per la Brexit, David Davis, a quello di consigliere speciale di Downing Street. Tornata svoltasi non a caso dopo un chiarimento - cruciale, a dar credito al quotidiano londinese - avvenuto lunedì a pranzo a Bruxelles fra la premier Tory del governo di Sua Maestà, Theresa May, e il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker. Firme su un pezzo di carta, ancora non ce ne sono. Ma sull'individuazione dei capitoli di spesa da coprire per regolare i conti di uscita dal club, e sulla «metodologia» di calcolo, par di capire che si sia giunti a capo della faccenda.

Un passo in avanti per tutti, se non vi saranno smentite, anche se restano in ogni caso da dirimere le altre due questioni preliminari (diritti dei cittadini Ue residenti nel Regno e confini fra Irlanda e Irlanda del Nord) prima di poter passare a dicembre alla fase 2 del negoziato sulla Brexit: quello, caro al Regno Unito e alla City, delle future relazioni commerciali.

Ma soprattutto si tratta di un passo in avanti per il debole governo britannico, che comunque avrà il suo bel daffare per far digerire a tutti il pagamento di una somma di tale entità. E che intanto - mentre la Bank of England promuove, stress test alla mano, la solidità delle grandi banche nazionali - è costretto ad affrontare in casa una nuova polemica. Questa volta a innescarla sono le reazioni furiose di molti laburisti dopo la presentazione alle Camere da parte dell’esecutivo d’una raffica di rapporti di scenario sul possibile impatto della Brexit su 58 diversi settori dell’economia. Rapporti che, stando all’opposizione, sarebbero stati sforbiciati ad arte.

Nel mirino ci sono proprio il ministro Davis e il suo dicastero, accusati d’aver condiviso con i deputati testi 'monchi' rispetto a quelli redatti dagli esperti. Con tanto di sospetto che la scure sia caduta su «fatti politicamente imbarazzanti». La pubblicazione dei rapporti era stata già al centro di una battaglia ai Comuni: inizialmente il governo May avrebbe voluto tenerli riservati, ma un emendamento del Labour, approvato in aula, gli aveva imposto obtorto collo di metterli a conoscenza del Parlamento. Un Parlamento nei confronti del quale ora sarebbe stato commesso «un oltraggio», recriminano i laburisti sfogliando i documenti 'tagliatì.
Il viceministro per la Brexit, Robin Walker, replica oggi che si è trattato di una condivisione «per quanto possibile aperta" di 850 pagine complessive di rapporti, con la sola esclusione di alcuni punti che rischierebbero di «minare» la confidenzialità di elementi negoziali «sensibili» tuttora in discussione a Bruxelles. E aggiunge che questi punti potranno essere resi noti a tutti i deputati e i lord più in là, «a tempo debito». Ma Hilary Benn, presidente laburista della commissione parlamentare bipartisan sulla Brexit, non ci sta. Contesta un simile approccio e incalza: non sta al governo decidere cosa sfrondare unilateralmente, alla chetichella, dai documenti.

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