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Il salafita che amava Michael Jackson

(di Cristiana Missori)- E' il 25 giugno 2009 quando la notizia della morte di Michael Jackson fa il giro del mondo. Nel sentire l'accaduto via radio, mentre è alla guida della sua auto, un predicatore egiziano ultra conservatore esce fuori strada e va a sbattere. E' con un incidente stradale dovuto al forte choc che Hani, imam salafita, prova alla scomparsa del suo idolo di gioventù, che ha inizio il film firmato dal giovane regista egiziano Amr Salama, Sheikh Jackson (2017, candidato agli Oscar), in questi giorni in cartellone al Festival internazionale del Cinema del Cairo (fino al 30 novembre). La pellicola, da poco uscita nelle sale, ha già riscosso un grande successo al botteghino e provocato un gran numero di polemiche, tanto da scomodare una corte d'Appello del Paese. Scegliendo di parlare della profonda crisi di identità che vive lo sheikh Khaled Hani (interpretato da Ahmed Fishawy) - dilaniato tra devozione e amore per il 'King of pop', Michael Jackson; tormentato tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra quello che è lecito (halal) e quello che non lo è (haram) - Salama sceglie di portare sul grande schermo un tema estremamente delicato, che ha urtato non poche sensibilità, che ruota attorno a un'altra questione: il rapporto tra padre e figlio.

Il racconto si snoda infatti lungo continue incursioni nel passato dello sheikh, nella sua infanzia quando perde la madre (interpretata dalla star tunisina Dorra) e nella sua adolescenza conflittuale con il padre, per nulla praticante ma con il pallino per il machismo. L'amore del figlio per Michael Jackson - che per il genitore non è ''né uomo, né donna'' - nasce invece per far colpo su di una ragazza, grande fan del cantante americano.

Alla morte di Jackson, Sheikh Hani - che indossa un anello in grado di contare quanti peccati e quante opere buone ha compiuto nella giornata - va letteralmente in tilt, la sua indole di adolescente amante del ballo e della musica inizia a prendere in lui il sopravvento, tanto da spingerlo ad immaginare che il re del pop entri in moschea e inizi a ballare con i fedeli mentre lui guida la preghiera. E' questa scena che è costata all'attore principale, Ahmed Al Fishawy, proprio pochi giorni fa, un invito a comparire davanti a un procuratore egiziano per alcuni chiarimenti. Viene accusato di ''disprezzo per la religione'' e di ''avere rappresentato l'imam quale sostenitore di una visione estremistica'' e di ''diffamare l'Egitto''.

''Hanno preso la persona sbagliata'', dice ad ANSAmed l'attore egiziano, figlio d'arte. Il padre, Farouk, è tra i più noti attori egiziani viventi. ''Non sono io a dover fornire spiegazioni, ma semmai lo sceneggiatore o il regista. Io sono soltanto un attore che ha scelto di recitare questo ruolo''. E forse è proprio per la sua figura tanto controversa e i suoi atteggiamenti pubblici di sfida che un tribunale egiziano lo ha interpellato. ''Sheikh Jackson - afferma - non fa che rappresentare un imam come un qualsiasi essere umano, che cerca sé stesso, con sentimenti umani, paure e dubbi''. Braccia e collo interamente tatuati, Al Fishawy, ha alle spalle un passato di islam radicale, come lui stesso racconta. ''Avevo abbracciato la via salafita, perché pensavo davvero fosse la via per il paradiso''.

Lo zio paterno, ricorda, negli anni'80 faceva parte di un'organizzazione terroristica chiamata 'Takfir wa l hijra' (accusa di empietà e emigrazione, movimento d'ispirazione islamica fuoriuscito dalla Fratellanza musulmana). Oggi Fishawy vive in maniera diametralmente opposta.

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