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Stati Generali della lotta alle mafie, Musumeci: "Modificare le norme sugli impresentabili"

Nello Musumeci

MILANO. Modificare le norme sugli impresentabili per risolvere il problema della mafia. E' il pensiero di Nello Musumeci, presidente della Regione Sicilia,  che questa mattina ha partecipato a Milano agli «Stati Generali della lotta alle mafie».

«Abbiamo il dovere di passare dalle parole ai fatti. Credo che alcune norme vadano modificate, per esempio quelle che riguardano lo scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose e quelle che riguardano i cosiddetti impresentabili» spiega Musumeci.

«Non basta il codice penale -  aggiunge il governatore - non bastano le leggi dello Stato vigenti, compresa la legge Severino, serve un codice etico con poteri sanzionatori, altrimenti non renderemo mai impermeabili le istituzioni alle pressioni esterne, di qualunque tipo siano».

Non è mancato il commento del presidente su Luigi Genovese: «fosse mio figlio io prenderei a calci chi dice che è impresentabile perché il padre è stato condannato in primo grado Ha 21 anni - aggiunge Musumeci - è uno studente di giurisprudenza ed è incensurato: per le leggi dello Stato è presentabilissimo. Io mi indigno di chi si indigna - conclude - È da 70 anni che in Sicilia le
liste elettorali sono frequentate da personaggi chiacchierati».

Presente agli «Stati Generali della lotta alle mafie» anche il presidente del Senato, Pietro Grasso.

«Sono passati 30 anni da quando la magistratura italiana poté dimostrare, una volta per tutte, l'esistenza della mafia» dice Grasso ricordando come il 16 dicembre dell’87 il presidente della Corte d’assise di Palermo lesse il dispositivo del primo maxi processo a Cosa nostra.

Grasso ricorda che quel giorno i giudici inflissero 19 ergastoli e 2665 anni di reclusione. «I numeri erano impressionanti - afferma il presidente del Senato -: mai nella storia si era celebrato un processo con 475 imputati e con centinaia di imputazioni. Ricordo ogni istante di quel giorno e il durissimo lavoro che ci portò a quel risultato che, dopo qualche anno, diventò una sentenza definitiva. Sono passati trent'anni dal momento in cui, per la prima volta, la magistratura italiana ha potuto dimostrare, una volta per tutte, l'esistenza di Cosa nostra».

«Ci sono criminalità organizzate - spiega Grasso - che riescono a influenzare le politiche di certi Stati sotto il profilo del traffico degli stupefacenti e della corruzione. Dobbiamo prendere coscienza che è un problema internazionale e soprattutto la cooperazione giudiziaria internazionale è la cosa principale da fare. Cosa a cui si unisce l’impegno per togliere i paradisi fiscali che «continuano a sussistere e a favorire il riciclaggio nell’anonimato dei soldi».

Il presidente del Senato parla anche di Bernardo Provenzano e Totò Riina: «Sono morti senza aver mai voluto collaborare, avrebbero consentito di ricomporre pezzi di verità mancanti sulla stagione delle stragi. Però questo fatto non significa arrendersi né va considerato come una sconfitta. Certo c'è moltissimo da fare, ma con l’impegno di tutti diventerà vera la profezia di Giovanni Falcone, ovvero che la mafia come tutte le cose ha avuto un inizio e avrà una fine».

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