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Aspettando il risultato in Sicilia, nel Pd si apre lo scontro sul leader

Matteo Renzi

ROMA Ormai il tema nel Pd non è più la sconfitta in Sicilia ma l’entità dell’insuccesso. E se tra i renziani è partito lo scaricabarile sul candidato e sulla coalizione con Matteo Renzi che ricorda come Fabrizio Micari sia stato indicato da Leoluca Orlando proprio per fare «un’alleanza che andasse oltre il Pd», nella minoranza Andrea Orlando chiede da lunedì una discussione su tutto, dalle alleanze al candidato premier. «Renzi non si tocca» gli ribatte Matteo Orfini smentendo indirettamente anche i rumors su primarie di coalizione. L’ex premier guarda, però, altrove, rilanciando l'attacco ai banchieri e alle «alte burocrazie» e concentrandosi sulla sfida tv martedì con Luigi Di Maio.

Il segretario dem, rientrato da Chicago, non cambia idea sul valore del voto in Sicilia, «importante per il futuro dell’isola» ma non un test nazionale. «Voterei Micari ma vinca il migliore», è l’appello a poche ore dalla chiusura della campagna elettorale. La tesi con cui il leader dem spiegherà lunedì il risultato è che lui ha fatto di tutto per assecondare la richiesta di costruire sull'isola una coalizione di centrosinistra, accogliendo la proposta di Micari dalla quale poi Mdp e la sinistra si sono sfilati. D’altra parte, fanno presente i renziani, il Pd in Sicilia non è mai stato forte e nel 2012 si attestò al 13 per cento.

Una linea che non convince la minoranza interna anche se lo stesso Guardasigilli ammette che «l'impressione è che l'obiettivo di Mdp è far perdere il Pd». Ma è il tema del candidato premier da decidere insieme agli alleati, sollevato dal leader della minoranza, a mostrare come nel Pd i nervi siano scoperti. E come il rischio di una resa dei conti sia alto nonostante al Nazareno siano convinti che la volontà di trovare un’intesa che accontenti sulle liste alle politiche avrà la meglio sull'intenzione di mettere in discussione la leadership dell’ex premier. «Il giorno dopo la Sicilia - è la tesi di Orlando - si tratta di costruire una coalizione che deve decidere modi e tempi per individuare la candidatura a presidente del Consiglio. La discussione è legittima e il Pd andrà a quel tavolo con la candidatura di chi ha vinto le primarie».

Ma Orfini toglie il tema dal tavolo: «Per le nostre regole, la nostra storia e la nostra volontà il candidato sarà Renzi, come hanno deciso i nostri elettori alle primarie».
Il segretario dem manda avanti i suoi e non si sbilancia su come vorrà allargare la coalizione, attraendo forze come quella di Giuliano Pisapia, che oggi ha chiarito che Cp correrà alle politiche cercando il dialogo con Verdi e Radicali, e Emma Bonino, che ha aperto un cantiere con Benedetto della Vedova. Renzi rilancia la sfida tv con Luigi Di Maio «perché ormai - dice - siamo in campagna elettorale e comunque il Movimento Cinque Stelle è sul proporzionale il nostro principale competitor».

E raddoppia dicendosi pronto ad un match tv anche con il front runner del centrodestra ma anche «con Salvini e Berlusconi insieme se non si metteranno d’accordo» sul leader.  Renzi e Di Maio, martedì sera, su un’emittente ancora da decidere, si affronteranno su tutto. Ed è certo che una parte del leone nel confronto lo avranno le crisi bancarie. Tema che l'ex premier non vuole lasciare ai rivali nè dentro la commissione d’inchiesta nè nel dibattito: «Non abbiamo scheletri nell’armadio, vogliamo la verità e che chi ha sbagliato paghi», è l’affondo del leader dem per il quale è giunto il tempo che "le alte burocrazie di questo paese smettano di buttare la croce addosso ai politici di turno e si assumano anche loro le proprie responsabilità». Ogni riferimento a Ignazio Visco è puramente voluto.

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