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Nobel Chimica, le immagini 'asso nella manica' della biologia

Le immagini sono state da sempre un 'asso nella manica' per i biologi: vedere le strutture alla base di molecole e cellule è sempre stato fondamentale per la biologia, a partire dal primo 'ritratto' della molecola della vita, il Dna, ottenuto all'inizio degli anni '50 con la cristallografia ai raggi X da Rosalind Franklin nei laboratori britannici del Medical Research Council (Mrc).

 

Immagine ottenuta al criomicroscopio elettronico (fonte: Paolo Swuec, Cryo-Electron Microscopy Lab, Dep. BioSciences, University of Milano)

Qualche decennio più tardi, nello stesso centro di ricerca uno dei tre Nobel per la Chimica 2017, Richard Henderson, ha cominciato a studiare una proteina color porpora chiamata batteriorodopsina, incastonata nella membrana di un batterio che si carica di energia attraverso la fotosintesi. Per la prima volta riuscì a ottenerne l'immagine tridimensionale utilizzando un microscopio atomico.

Immagine dell'enzima Beta-galattossidasi ottenuta al criomicroscopio elettronico (fonte: Paolo Swuec, Cryo-Electron Microscopy Lab, Dep. BioSciences, University of Milano)

E' stato Joachim Frank, in seguito, a mettere a punto il modello matematico in grado di ricostruire la struttura in 3D in alta risoluzione. Restava da risolvere un altro problema importante: riuscire ad analizzare i campioni biologici senza danneggiarne la struttura. La soluzione proposta da Jacques Dubochet è stata raffreddare l'acqua così rapidamente da farla solidificare in una forma vetrosa anziché cristallina.

Immagine del nucleosoma ottenuta al criomicroscopio elettronico (fonte: Paolo Swuec, Cryo-Electron Microscopy Lab, Dep. BioSciences, University of Milano)

A quel punto tutto era pronto per combinare la tecnica della vetrificazione dei campioni con la microscopia elettronica, dando vita alla criomicroscopia elettronica. La prima immagine ottenuta con questa nuova tecnica è stata pubblicata sulla rivista Nature nel 1985.

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