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Carlo Capasa, a Milano serve un giorno in più

(di Gioia Giudici) - La musica è finita, gli amici se ne vanno: è triste come la canzone di Umberto Bindi l'ultima giornata di Milano Moda Donna, con solo tre sfilate in calendario (dovevano essere 4, ma Mila Schon ha scelto in corsa di anticipare a ieri il suo defilé) e pochissima gente in sala.
    "Se non mettiamo dei big in chiusura succede questo" ammette Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della moda, convinto che a Milano "serva un giorno in più", per arrivare a sei giorni pieni e non ai cinque effettivi di questa edizione.
    "La serata alla Scala ha dimostrato che quando siamo uniti e facciamo sistema siamo una forza, man mano che acquisiamo questa consapevolezza - spiega Capasa riferendosi ai Green Carpet Fashion Award - potremo procedere nella direzione di portare la fashion week a sei giorni pieni". Anche per dare tempo a stampa e buyers - come caldeggiato da Diego Della Valle - di godersi la città, mai così attraente come in questi giorni. E soprattutto dare a tutti la possibilità di fare al meglio il proprio lavoro: se tanti giornalisti stranieri si sono lamentati dei ritmi serrati di queste giornate, paragonati a quelli più dilatati di Parigi, molti giovani non hanno avuto l'attenzione che avrebbero meritato. Poi è vero che "lo spazio ai giovani lo abbiamo dato anche sotto forma di presentazione, che - dice il N1 di Cnmi - dà loro il tempo di strutturarsi e di evitare di bruciarsi sfilando troppo presto", ma non è un bello spettacolo la sala semivuota che accoglie la sfilata della 32enne israeliana Daizy Shely. In passerella, abiti che raccontano una storia d'amore contrastata, con stampe solo in apparenza romantiche create da giovani artisti, tute in sangallo e camicie maschili, abiti jacquard e trench oversize, salopette di jeans con la gonna a pieghe in tessuto camicia e trench in denim con margherite ricamate. Dopo di lei, il giapponese Ujoh, che con gli abiti ricorda i suoi 7 anni da modellista: tute con tasche applicate, vestiti con cinghie, tuniche monospalla. Tutto morbido e asimmetrico, con tocchi d'oro e magenta.
    Sfila fuori dal calendario ufficiale la collezione Giada disegnata da Gabriele Colangelo, presentata alla Pinacoteca di Brera, cui la maison cinese ha donato due epistole inedite del Manzoni. In passerella abiti tunica e gonne plissé, pantaloni ampi e scivolati con spacchi laterali, giacche fermate sul dorso da gioielli dalla linea geometrica, lunghi capospalla extra dalle spalle stondate, maxicamicie portate come soprabiti, scarpe dal tacco scultura. Dalla passerella esclusiva di Brera all''urban catwalk' del marchio Ssheena, che fa scendere le sue modelle dall'Arengario a Piazza Duomo, dove si accomodano sui divani a scattarsi selfie tra i passanti. Un progetto voluto da White, il salone di cui la 31enne designer milanese Sabrina Mandelli è stata special guest.
    La sua collezione si ispira alle atmosfere del Monocle, il nightclub lesbo della Parigi anni 30, e alle donne combattive che lo frequentavano. Per le loro epigone di oggi gonne plissé doppiate in pvc, tute militari con stampe di forme femminili, giacche da sera con cascate di cristalli.
   

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